Dalle mani di Morgan Freeman a quelle di Matt Damon, da Nelson Mandela al capitano afrikaner François Pienaar. Nel 1995 il Sudafrica alza al cielo la Coppa del Mondo di rugby ed entra in una nuova dimensione, l'iconica scena immortalata da Clint Eastwood in Invictus porta il Paese a compiere i primi passi fuori dalle paludi dell'apartheid. Dopo 42 lunghi anni. Un percorso faticoso, tutt'ora incompleto, che prova a sfruttare la palla ovale per scrollarsi di dosso un'eredità scomoda, fatta di segregazioni, tensioni sociali e discriminazioni striscianti. Il rugby può rappresentare la cartina tornasole, si fa portatore dei tempi che cambiano «e quindi dobbiamo cambiare anche noi», come affermato dallo stesso capitano Pienaar nel corso del film. Proprio il rugby, lo sport per eccellenza in Sudafrica, considerato del tutto appannaggio dei bianchi ed ennesimo motivo per confinare altrove neri e meticci, che ancora oggi rappresentano più dell'80% della popolazione.
La rivoluzione rugbistica sta portando i suoi frutti, gli Springboks che oggi rischiano di vincere il Quattro Nazioni dopo 10 anni di astinenza hanno disintegrato un altro muro, hanno messo a registro un nuovo record: scendere in campo con 8 giocatori di colore su 15, ossia un sorpasso sui bianchi che non c'era mai stato prima. Altri tre siedono in panchina, portando il conto a 11 sui 23 in distinta. Siamo al 48%, a un'inezia dall'obiettivo messo per iscritto anni fa nell'accordo tra governo sudafricano e South African Rugby Union, secondo cui dei 31 giocatori che andranno al Mondiale in Giappone (dal 20 settembre) il 50% dovrà essere di colore. La strada è tracciata, sono passati 24 anni da quando Mandela incoronò le antilopi campioni per la prima volta, consegnando la coppa a una squadra con un solo nero, l'ala Chester Williams. Non tanto diverso dal successo iridato del 2007, con due neri all'attivo, le ali Pietersen e Haban. Nelle ultime stagioni il processo d'integrazione ha subito una sterzata decisiva, nel maggio 2018 il flanker Siya Kolisi è diventato il primo capitano nero nella storia della Nazionale, segno che la Rainbow nation non appartiene più solo agli ideali di qualcuno.
La discriminazione positiva è uno dei punti fermi della federazione sudafricana e nel mese di giugno è stato richiesto a tutte le formazioni provinciali del Paese d'innalzare la percentuale di giocatori di colore fino al 60%. Oltre al significato ideologico, è una mossa per far sì che la squadra possa attingere da un bacino più vasto, eterogeneo, per tentare di rivivere i vecchi fasti rispetto alle delusioni degli ultimi anni.
Che i neri possano giocare solo come ali o che le più forti seconde linee debbano essere bianche sono concezioni da superare per lottare ad alti livelli, e non a caso questo Sudafrica oggi può spezzare il solito dominio targato All Blacks nel Rugby Championship: gli Springboks sono avanti di un punto, vanno in Argentina per provare a completare l'opera e poi al Mondiale come possibili favoriti. Sarà da record, comunque vada.
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