Quel tedesco che aveva l'Italia nel cuore

Per l'affidabilità teutonica lo chiamavano "Volkswagen". Ci beffò all'Azteca nel '70

Quel tedesco che aveva l'Italia nel cuore
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Come quel gol all'Azteca. Improvviso, Karl Heinz Schnellinger appare per cambiare la cronaca di un giorno diverso. Il biondo germanico, come lo definivano certe enfatiche narrazioni, ha chiuso la propria esistenza, negli ultimi tempi affannosa per il maligno che prosciuga la speranza e la vita. Schnellinger è stato un grande terzino, sostantivo scomparso dai vocabolari contemporanei, un difensore essenziale, duro come era necessario, Nereo Rocco per l'appunto illustrò così la propria teoria tattica: «Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono», da cui si disegna facilmente l'identikit di Karl Heinz l'assassino.

Il soprannome di Volkswagen fu dovuto, questa la versione tedesca, all'assoluta affidabilità del tipo, come era la vettura del popolo made in Deutschland, Schnellinger è stato una garanzia, di atleta e di uomo. Aveva comunque scelto l'Italia per vivere perché questo è per tutti, tranne per noi poveri ignoranti e irriconoscenti, il luogo delle bellezze, del sole, del «cielo celeste», del cibo, dell'arte e di tutte quelle cose magiche per un ragazzo venuto da Duren, distretto di Colonia, avamposto importante dell'Impero Romano. Il fatto che fu proprio la Roma la prima squadra a portarlo in Italia fu soltanto una coincidenza, a Colonia il ragazzo era riuscito a guadagnare alcune migliaia di marchi, Marini Dettina, padrone del club giallorosso pagò 400 milioni di lire per la coppia «crucca» Schnellinger-Schutz però il caos tecnico romanista (tre allenatori cambiati in stagione)dirottò Karl Heinz al Mantova nell'affare Sormani che arrivò a Roma per mezzo miliardo di lire. Schnellinger allora, a Mantova lo battezzarono Schilingi, giocò 33 partite, segnò 2 gol, tornò a Roma sotto le bizzarrie di Lorenzo, 29 presenze, 1 gol, 5 partite di coppa delle Fiere e 2 presenze in coppa Italia con il trionfo nella finale al Comunale di Torino contro i granata allenati da Nereo Rocco. Sarà anche per questo che lo volle e lo prese il Milan e allora la cronaca diventa storia, il Paròn crede nel «tedesco di Cermania» e ammonisce i giornalisti facili all'encomio: «Lo vedete perché xe biondo!». Schnellinger vince con il Milan tutto quello che un professionista sogna, 1 scudetto, 4 coppe Italia, 2 coppe delle coppe, 1 coppa dei campioni, 1 coppa intercontinentale, 334 presenze, 3 gol soltanto in coppa Italia. Ma. C'è un ma, perché tutta questa avventura bella viene abbagliata da quello che accadde nella notte italiana tra il 17 e 1l 18 di giugno del 1970.

Le prime immagini televisive a colori ci stavano regalando la vittoria del mondiale messicano nella finale contro la Germania, il vantaggio di Boninsegna significava la coppa Rimet, un pallone sporco di Grabowski finì nella nostra area di rigore quando, improvviso e imprevisto, apparve il biondo germanico, con un gesto sconcio, in buffa scivolata batté in rete Albertosi: «Due minuti oltre il tempo regolamentare» disse Nando Martellini mentre, furibondi, insultavamo il cielo e quel traditore tedesco, sodale milanista di Rivera e Rosato entrambi stupiti e zittiti dal colpo «del difensore assassino».

Spiegò, Schnellinger, che fu tutto dovuto all'astuzia, aveva visto sull'orologio del maxischermo che ormai mancava poco alla fine e lui si era dunque trasferito più vicino alla via di fuga verso lo spogliatoio. Magico biondo germanico, regalò al mondo la partita del secolo e il suo capitano Gianni Rivera contraccambiò con il gol della vittoria. Danke, Karl Heinz. Grazie Volkswagen.

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