Rino Tommasi, da maître del ring a "super io" della penna

Rino Tommasi, all'inizio grande organizzatore di boxe, poi giornalista e commentatore tv dal "personalissimo cartellino"

Rino Tommasi, da maître del ring a "super io" della penna

Continua il nostro viaggio tra i maestri del giornalismo italiano che hanno scritto le pagine più belle dello sport. Visti da vicino attraverso i ricordi personali di chi li ha avuti come modelli, punti di riferimento, oppure compagni di trasferte o di redazione.

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Avrei sempre pensato che Rino Tommasi fosse un organizzatore di boxe. Poi ho scoperto che era pure un giornalista. Ci sono rimasto male. Lo preferivo organizzatore. Lo diceva la mia testa di bambino. Avevo la fortuna di ascoltarlo da vicino, magari in occasioni particolari. Per dire: negli anni '60-70, grazie all'associazione dei giornalisti di pugilato, il mondo della boxe faceva festa assegnando i suoi Oscar. Il sottoscritto era ragazzino: invitato, curioso e intrufolato. Poi vabbè. Ma oggi, come allora, mi vien di dar del Lei al signor Tommasi. Fra l'altro, con l'eterno ciuffo scuro, la faccia sagomata che pareva adatta a finire in un dipinto, l'impeccabile abito da cerimonia, Rino stava spesso sul palco dei premiati: era un grande organizzatore. Raccolse otto statuette in una decina di anni. Poi l'altro Oscar, quello che ricorda sempre: a 25 anni, il più giovane organizzatore del mondo. Il culto della celebrazione non gli è mai mancato. Tutto naturalmente personalissimo, come il cartellino delle sue telecronache ormai entrato nel cult.

Nella imperdibile dedizione per classifiche e statistiche, Tommasi, veronese classe 1934, potrà anche dirvi che divenne organizzatore il 27 novembre 1959. Ma con altrettanta precisione ricorderà che il 14 luglio 1948, a 14 anni, giorno dell'attentato a Togliatti e di una impresa di Gino Bartali al Tour de France, ha cominciato a giocare a tennis: l'altro sport, anzi il più importante, della sua vita. E, infine, che il 4 dicembre 1953 interruppe la preparazione per un esame di ingegneria e dettò il primo articolo di pugilato dal teatro Principe di Milano, covo della passione di altri tempi, un vecchio cinema di viale Bligny, oggi riadattato alla boxe. Per inciso: il nostro si è laureato in Scienze politiche e non in Ingegneria, ed era molto bravo in matematica.

Tommasi è un giornalista onnivoro, conosce il calcio e il football americano, ama la boxe e il tennis, dimostra che lo sport è passione. Giornalismo diviso in due: prima e dopo l'attività organizzativa. La seconda parte è cominciata a 37 anni, nel 1971. Giornalismo scritto e giornalismo sulle reti Tv, private e a pagamento, dove è stato un direttore e un pioniere portandoci in casa competenza e personaggi. Gli dobbiamo tutti la prima conoscenza con Mike Tyson, fra l'altro il miglior Tyson. Gli aveva pronosticato un avvenire più lungo e glorioso: SuperMike non lo ha ascoltato.

Sempre dettato dal ricordo di bambino: oltre a conoscenza e competenza, c'era la voce. Inconfondibile: sembrava di sentir parlare uno con la molletta sul naso. Ti entrava nell'orecchio. Poi, nel corso degli anni, le saporite telecronache con Gianni Clerici e Ubaldo Scanagatta nel tennis oppure i commenti a bordo ring, che dovevano portarti all'emozione, hanno confermato che la voce era un marchio. E nemmeno a tono basso, se una volta John McEnroe, che stava sfidando Ivan Lendl in un torneo per campioni, alzò gli occhi e con tono perfino gentile, sbottò: «Rino, please!»

Il Tommasi organizzatore sapeva mettere i managers al loro angolo e i pugili sul ring facendo dello spettacolo un'arte raffinata, riusciva ad architettare magnifici cartelloni. E così sono lievitati fior di idoli e di campioni: da Giulio Rinaldi a Nino Benvenuti e Bruno Arcari. C'è da credere all'idea di Umberto Branchini: Rino è stato il più bravo a creare i programmi pugilistici. E salvaguardava anche il problema economico, trovando finanziatori: non fu facile portare a Roma (1965) Pone Kingpetch, il thailandese che affrontò Tore Burruni per il mondiale dei mosca. Branchini ha riconosciuto a Tommasi l'abilità che altri non avrebbero avuto.

Prima che nascesse l'uomo del personalissimo cartellino, c'è stato il giornalista della carta stampata che poniamo al secondo posto nella nostra personalissima (sorry!) graduatoria del Tommasi uno e trino (organizzatore, carta stampata, tv): ha scritto per Sportinformazione, un covo di grandi giornalisti, per La Gazzetta dello Sport, Il Tempo, Tuttosport, Il Resto del Carlino, invitato da Enzo Biagi, e per altre testate.

Ha usato l'Io con la i maiuscola per credo e non solo per narcisismo o immodestia che, peraltro, mai ha nascosto. Tutti i giornalisti sono narcisi, ma lui almeno è stato subito chiaro. Ha raccontato: «Il noi mi sembra meno efficace e troppo prudente». E c'è da immaginare la lotta con i detentori dell'ortodossia professionale che, in altri tempi, riportavano gli articoli dall'io al noi.

In tal senso le telecronache, la prima a 47 anni, sono state una liberazione. Il personalissimo cartellino una trovata e una debolezza (?) da showman. In Tv, la Grande boxe è stata un successo: l'appassionato può solo ringraziare. Ma se ancora volete scoprire qualcosa dell'anima del Tommasi, eccovela. In questo personalissimo autoscatto: «Non sono un buon giornalista secondo i canoni tradizionali.

Non mi piace lo scoop, non li ho mai inseguiti. Nemmeno le interviste, sebben con quella a Henry Kissinger abbia vinto un premio giornalistico. Infatti gli intervistati non hanno nulla di interessante da dirmi. C'è poco che io non sappia già di loro!».

(11. Continua)

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