Milano - Non basterà alla Juve per chiedere indietro lo scudetto del 2006 che le è stato tolto e assegnato all'Inter. Ma la sentenza che ieri è stata depositata a Milano al termine di un processo per diffamazione costituisce una rivisitazione critica della fosca saga di Calciopoli, di cui la società nerazzurra si è sempre proclamata vittima principale: e che tanto vittima, secondo questa sentenza, non era.
Il processo aveva per imputato Luciano Moggi, già direttore generale bianconero, accusato numero uno dell'inchiesta della Procura di Napoli, e poi radiato dalla Federcalcio. Come parti civili c'erano i familiari di Giacinto Facchetti, terzino e capitano dell'Inter del primo Moratti, e presidente del club nell'ultima fase della presidenza di Moratti junior, ucciso da un tumore nel 2006. Moggi, nel corso di una intervista in tv, aveva avuto parole pesanti nei confronti di Facchetti, accusandolo in sostanza di avere anche lui chiesto e ottenuto trattamenti di riguardo negli arbitraggi delle partite interiste. Gli eredi di Facchetti avevano querelato Moggi. Il 15 luglio scorso, il giudice Oscar Magi, presidente della quarta sezione penale del tribunale milanese, aveva assolto Moggi «perchè il fatto non sussiste». Ieri, Magi deposita le motivazioni. E sono pugni sotto la linea di galleggiamento per l'immagine del club nerazzurro e del suo presidente scomparso.
Le telefonate tra Giacinto Facchetti e alcuni arbitri «costituiscono un elemento importante per qualificare una sorta di intervento di lobbing da parte dell'allora presidente dell'Inter nei confronti della classe arbitrale» e sono «significative di un rapporto di tipo amicale» e «preferenziale» con «vette non propriamente commendevoli», scrive il giudice Magi. Le accuse di Moggi a Facchetti, secondo la sentenza, «contenevano con certezza una buona veridicità».
A convincere Magi del rapporto preferenziale tra Facchetti e gli arbitri sono le telefonate che l'inchiesta della Procura di Napoli aveva tralasciato, e che sono emerse solo negli anni successivi, soprattutto per iniziativa di «Big Luciano» e dei suoi consulenti; e che sono state riportate anche nell'aula del processo milanese. A partire dalla chiamata cruciale, quella che l'11 maggio 2005 il designatore arbitrale Paolo Bergamo effettua a Facchetti, e in cui i due sembrano accordarsi sulla scelta di Paolo Bertini per dirigere l'incontro di coppa Italia tra Cagliari e Inter. E Bergamo tranquillizza il presidente nerazzurro: «Non ti preoccupare, ha capito come si cammina: è un ragazzo intelligente, ha capito. Meglio tardi che mai».
Come è noto, il procuratore federale Stefano Palazzi nella sua relazione conclusiva su Calciopoli ebbe parole pesanti per il comportamento di Facchetti, spiegando che solo la prescrizione teneva l'ex capitano azzurro al riparo dal provvedimento disciplinare. E ieri la sentenza del giudice Magi si muove nel solco della relazione Palazzi, che cita esplicitamente.
A portare all'assoluzione di Moggi, d'altronde, non sono state solo le telefonate ma anche alcune delle testimonianze sfilate in aula, come quella dello stesso Bertini, del suo collega Massimo De Santis, e dell'ex designatore dei guardialinee Gennaro Mazzei, anche lui intercettato al telefono con Facchetti che fa pressioni per la scelta degli assistenti per Inter-Juventus del novembre 2004, in un'altra conversazione rimasta fuori dall'inchiesta della Procura di Napoli.Entusiasta, come prevedibile, il legale dell'imputato, Maurilio Prioreschi: «É la conferma di quanto abbiamo sempre sostenuto: i veri illeciti sportivi non erano quelli di Moggi».
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