Il triste fallimento del pallone commissariato

Doveva essere l'occasione per le riforme, ma dalla B a 19 alle seconde squadre solo flop

Il triste fallimento del pallone commissariato

Avevamo tutti posto grande fiducia nella stagione del calcio commissariato dal Coni. Elementare la spiegazione: quelle riforme che nessun governo federale era riuscito a realizzare potevano finalmente vedere la luce. La presenza poi di un uomo di calcio (Costacurta) al fianco di Roberto Fabbricini, gran brava persona ed esperto di regolamenti (che ieri ha annunciato il 22 ottobre come data migliore per l'assemblea elettiva della Federcalcio), aveva indotto qualche inguaribile sognatore a prevedere che la missione sarebbe stata realizzata in poche battute. È arrivata, in questi giorni di caldo insopportabile e di litigi, ricorsi e contro-ricorsi, la conferma che dovremmo attendere l'arrivo di un dittatore per riformare il calcio italiano e imporre condizioni di sostenibilità ai campionati che cominciano a scricchiolare pericolosamente. Il quadro è francamente desolante e conviene forse qui riepilogare tutti i capitoli del fallimento.

Seconde squadre. Era al primo punto del programma di Costacurta, annunciato con enfasi nei giorni dell'insediamento. Osteggiato da Lega Pro e serie B con particolare vigore e mai negoziato con le leghe interessate, è abortito prima ancora di vedere la luce. C'è stata una sola iscrizione, quella della Juve. Il Milan cinese aveva firmato la seconda, Elliott ha cambiato indirizzo e ora inserire la Juve B è un problema.

Nazionale. Il pasticciaccio di via Allegri è da guinness dei primati. Costacurta sapeva benissimo che Pirlo non avrebbe rinunciato né agli sponsor né al contratto Sky (dove lui tornerà a lavorare nelle prossime settimane): perché hanno scoperto l'incompatibilità a ferragosto e dintorni? E ancora: se il rilievo è valido per il ruolo di vice Ct del club Italia, perché è irrilevante per Ambrosini, capo-delegazione dell'Under 21, ruolo quest'ultimo ancora più istituzionale?

Calcio femminile. Un intervento di Walter Veltroni ha rimesso al centro la questione del calcio femminile prima scippato alla Lega dilettanti e ora trasformata in un ginepraio normativo.

Serie B. È l'ingorgo più vistoso e anche più preoccupante a pochi giorni dal calcio d'avvio. La Lega guidata da Balata, sul tema, è stata sempre coerente: ha chiesto di ridurre il format prima a 20 e adesso (con voto unanime delle società interessate a spartirsi i 15 milioni di diritti tv in più) a 19. Solo il commissario ha cambiato posizione: prima intransigente sul rispetto della norma (si può cambiare ma un anno dopo la decisione, ndr), poi aperto alla modifica - la Lega di B farà lunedì a Milano i calendari - mentre monta la protesta delle escluse che avevano già brindato al ripescaggio. Tra la riforme c'era anche questa, ma allora bisognava cavalcarla prima di illudere Catania e Novara. Sgradevole poi il referendum di 13 squadre di Lega Pro contro l'eventuale promozione in C del Bari appena fallito e costretto dalle norme a ripartire dalla D.

Procura federale. È stata l'estate orribile dell'ufficio diretto da Pecoraro. Ha iniziato col Foggia parlando addirittura di mafia smentito dalle sentenze di due corti federali, ha proseguito col Parma infine ha commesso uno strafalcione procedurale col Chievo di fatto consentendogli di non rischiare la retrocessione (per le plusvalenze) nella stagione che è alle porte. Le dimissioni, a questo punto, sarebbero un atto dovuto.

Siamo al tutti contro tutti.

E chi doveva risolvere i problemi li ha moltiplicati. La conclusione è solo una e bisogna prenderla in prestito da Mao Tse-tung: grande è la confusione sotto il cielo del calcio italiano ma la situazione non è per niente favorevole.

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