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Viola di rabbia: quando la Fiorentina retrocesse

Nel 1992/93 si consumò un'impresa alla rovescia: dalla vetta alla serie B nel giro di di cinque mesi

Gabriel Omar Batistuta con la maglia della Fiorentina nel 1992
Gabriel Omar Batistuta con la maglia della Fiorentina nel 1992

Piazzare i gomiti in vetta al campionato a dicembre e retrocedere a fine stagione. Parrebbe una missione impossibile, anche a volersi impegnare. Specie se, in squadra, possiedi pezzi d’argenteria scintillanti. Eppure quello che è successo alla Fiorentina nella stagione 92/93 è tutto vero. E dovrebbe essere categoricamente ascritto all’impudente categoria – peraltro non scarsamente abitata – dei miracoli contromano. Roba che fa trasalire e sgrana gli occhi al contempo.

La storia di uno dei più eccentrici auto – sabotaggi calcistici di sempre si nutre davvero di pasture inverosimili. Come ha fatto una squadra che premeva in rosa gente del calibro di Gabriel Omar Batistuta, Ciccio Baiano (arrivato dal Foggia di Zeman), Stefan Effenberg e Brian Laudrup – solo per soppesare i nomi più squillanti – ad avvitarsi in quel modo? Come fai ad essere seconda a dicembre, al pari di Inter e Torino, per poi inabissarti?

Spesso la risposta risiede nella testa. A volte è sufficiente spostare un singolo tassello per incrinare equilibri che si reggono su corridoi di cristallo. Il rumore del vetro che si infrange lo senti quando è troppo tardi. Il punto di rottura si consuma il 3 di gennaio. La viola di Gigi Radice ospita l’Atalanta di Marcello Lippi, altra rivelazione del campionato. L’impatto non sarebbe nemmeno dei peggiori, ma gli attacchi svaporano. Batigol e compagni costruiscono almeno cinque occasioni nitide, senza sfruttarle. Alla fine la Dea espugna il Franchi 0-1. Un passaggio a vuoto ci sta, verrebbe da pensare. Vittorio Cecchi Gori però la prende per il verso sbagliato.

Subito dopo il match inizia un delirante alterco sulla difesa a zona, con il patron e il mister che se le danno, verbalmente, di santa ragione. Anche davanti ai microfoni Rai i nervi sono tirati allo spasmo. Le dichiarazioni seccate. L’atmosfera surreale. Cecchi Gori schiuma una rabbia incontenibile. Due ore più tardi Radice, fino a quel punto quasi al comando della classifica, viene silurato.

Qui inizia il racconto alla rovescia. La proprietà chiama Aldo Agroppi, fermo da due anni e mezzo, un passato burrascoso a Firenze. Lo spogliatoio si crepa subito. Il passaggio di consegne è un trauma che smantella convinzioni faticosamente acquisite. La prima a Udine è una Waterloo: 4-0. Seguiranno due mesi e mezzo senza successi, ammantati da un’atmosfera tetra e ineffabile. Alla fine saranno appena tre le gare vinte sotto la gestione Agroppi. L’ultima, un ruggente 6-2 al Foggia, non servirà a niente.

Viola di rabbia, la squadra sprofonda in B nell’incredulità collettiva. Il cambio in corsa più improvvido di sempre.

Come ribaltare un destino radioso per infilarsi in un vicolo fetido.

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