Probabilmente questo pomeriggio sui Campi Elisi, quando sarà chiamato a salire sul gradino più alto del podio del Tour de France, davanti al suo gregario Froome e a uno splendido Nibali che ha difeso il terzo posto nella crono finale, Bradley Wiggins sentirà scorrere lungo la schiena un brivido. A chi gli aveva chiesto qualche settimana fa, al Giro del Delfinato, se si sarebbe emozionato a sentire l'inno inglese in caso di vittoria, lui rispose sprezzante: «Non è quello il genere di musica che mi emoziona».
È passato un mese da quella dichiarazione. È trascorso un Tour intero, e c'è da credere che forse Bradley Wiggins, il primo corridore inglese a portare la maglia gialla in Gran Bretagna, apprezzerà anche le note di "God save the Queen".
Serio, riflessivo, educato, ma anche parecchio easy. A chi gli ha chiesto cosa ha pensato quando ha vestito la prima maglia gialla, lui ha risposto sereno «Fucking enormous», più o meno «una figata pazzesca».
Per vederlo alterato, basta che qualcuno insinui questioni di doping e paragoni la Us Postal di Lance Armstrong al suo Team Sky. Chi ci ha provato si è sentito rispondere strong: «fucking wankers», fottuti masturbatori.
Volto scavato e affilato, fisico asciutto come un'aringa, occhi azzurri come il mare, capelli color del rame e lunghi basettoni anni Settanta alla George Best. È uno spilungone di appena 71 chili distribuiti su centonovanta centimetri. Bradley Wiggins, 32 anni compiuti ad aprile, è il primo inglese a portarsi a casa il Tour de France. Superlativo a cronometro, più che accettabile in salita. Ieri nell'ultimo esercizio contro il tempo ha umiliato tutti.
Fuoriclasse assoluto fino al 2008 su pista, tanto da vincere 6 titoli mondiali (tre nell'inseguimento individuale, due nell'inseguimento a squadre e una nell'americana in coppia con Cavendish), e tre ori olimpici (Atene e Pechino, due individuali, un a squadre), ha conosciuto anche la depressione e l'alcolismo. «Alle 11 del mattino entravo nel mio pub preferito e non me ne andavo prima di aver bevuto 12 o 13 pinte di birra», ha scritto nell'autobiografia. Un momento buio, terribile, vissuto immediatamente dopo i Giochi di Atene nel 2004 e prima della nascita del figlio nel 2005. Da lì in poi, Brad è cambiato radicalmente, diventando modello d'impegno e dedizione. Una crescita costante e continua. Quest'anno, prima del Tour, ha vinto tutte le brevi corse a tappe a cui ha preso parte: Parigi-Nizza, Giro di Romandia e Criterium del Delfinato.
Un rapporto prima nullo e poi conflittuale con il padre Gary, ex corridore professionista degli anni Ottanta (campione europeo su pista, specialità di famiglia), Bradley nasce a Gand, in Belgio, dove il padre australiano era impegnato in una Sei Giorni. Una vita ad inseguire, quella di Wiggins, ma anche a cercare di capire come suo padre Gary sia morto nel 2008 in un vicolo di una cittadina del Galles del Sud.
Oggi è sereno e felice: «Io ho una famiglia», dice. Corre per una nazione che lo attende per dare inizio ai Giochi, lui che per aver vinto tre ori olimpici è stato insignito dell'Ordine del Impero Britannico, una delle più alte onorificenze (conferita tra gli altri a Bill Gates e ai Beatles).
Se qualcuno gli chiede cosa fa a casa, lui sorride e dice: «Vivo tra Manchester e Birmingham, in una bella cascina, con mia moglie e i miei bimbi. E sono in molti che mi chiedono cosa faccio lì quando non corro in bicicletta. E io rispondo sempre allo stesso modo: spalo merda, come si fa in tutte le cascine del mondo».
È un personaggio tutto da scoprire e tutto da decrittare. Per questo gli si chiede di tutto, anche come fa un pistard a trasformarsi, ad un certo punto della sua vita sportiva, in un magnifico stradista capace di centrare il grande sogno di vincere il Tour de France. Lui spiega con poche ma chiare parole: «Undici chili. Questo è il segreto.
A Pechino pesavo 82 kg, adesso 71. Prima mi piaceva alzare il gomito, adesso sono praticamente astemio e rigidamente a dieta».Così Bradley Wiggins, il baronetto della Regina, da inseguitore è passato ad inseguito: irraggiungibile.
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