
Tredici teste di serie eliminate al primo turno, ma soprattutto c'è chi va fuori di testa. Wimbledon è anche questo: non solo il posto più bello dove giocare a tennis, ma anche una seduta di psicanalisi collettiva che ha toccato il massimo dopo la sconfitta di Alexander Zverev, entrato nel tunnel di uno sport dove perdere non è ormai considerata la cosa più normale di tutte: "Mi sento molto solo fuori dal campo e non è la vita che vorrei, questo si riflette anche nelle mie partite. Non saprei spiegare i motivi, ma non provo alcuna gioia. E per la prima volta nella mia vita sto pensando di affidarmi a uno specialista: devo ritrovare me stesso come persona, prima che come giocatore. Non mi sono mai sentito così vuoto".
È la solitudine dei numeri 3 (al mondo) in questo caso, ma non è un episodio isolato: da Borg in poi (nel 1981, dopo aver fallito per la quarta volta nella finale degli UsOpen a 25 anni, decide che non avrebbe mai più giocato uno Slam), la storia è piena di racchette spezzate. D'altronde, spiegò una volta Pete Sampras, "sei lì solo contro tutti, e prima o poi te ne rendi conto". A questo si aggiunge il fatto che il circuito è sempre più ricco ma sempre meno felice, perché l'iperconcorrenza verso l'alto ha fatto sì che la vita da tennista sia diventata praticamente monacale: ci si allena, si viaggia, si gioca, e tutto questo in continuazione. E il problema resta che ogni settimana alla fine vince sempre uno solo.
Così, negli ultimi anni, un male oscuro aleggia nel circuito, "perché la gente non può capire quanto sei davvero isolato dal mondo" disse una volta Nick Kyrgios spiegando la sua depressione e chiamandola per nome. Lo stesso ha fatto, per esempio, Naomi Osaka una volta raggiunto il numero uno del mondo, raccontando in lacrime che non si sentiva all'altezza delle domande ripetute che arrivavano in conferenza stampa: "Mi devo fermare" spiegò, e poi lo fece. La stessa frase che è diventata un refrain per giocatori come Rublev, Thiem e Lajovic, sempre sull'orlo di una crisi di nervi, e che a Wimbledon - in soli due giorni - si è sentita già troppe volte. Fa impressione, per dire, vedere l'espressione cupa di Berrettini o Tsitsipas piegati da infortuni sempre più ricorrenti, e ormai sconsolati: "Forse non ha più senso continuare".
In pratica il simbolo di una generazione perduta, una Next Gen che non ha avuto futuro, prima per colpa dei Big Three e poi perché il nemico è diventato lo sport che avevano tanto amato: "È come quando ti alzi la mattina e non hai motivazioni per andare al lavoro, e succede anche quando vinco" ha concluso Zverev. E potrebbe essere, questo, un avviso per tutti: il tennis rischia di diventare un giardino infelice.
Anche se Carlos Alcaraz sembra aver trovato la ricetta: "Credo di aver trovato la via giusta, dopo qualche mese complicato - ha spiegato il n.2 al mondo -. La chiave per me è divertirmi, dopo ogni match cerco di rilassarmi e stare bene".