Spudorate esplosioni di amori e infelicità

Questo nuovo libro di Sebastiano Grasso, La cenere ringrazia della brace e della favilla, che raccoglie poesie uscite in quattro volumi dal 2000 al 2006, rende ancora più evidente la straordinaria compattezza dell’ispirazione dell’autore e gli conferisce un rilievo particolare nel panorama dell’attuale poesia italiana. Rilievo che intanto le contemporanee traduzioni in svedese, polacco, russo e spagnolo, con avalli autorevolissimi come quelli di Evtushenko e Saramago, non fanno che rimarcare.
In che cosa consiste dunque la novità e la diversità della poesia di Grasso? Dobbiamo ricordare che troppo spesso i poeti italiani del secondo Novecento hanno divorziato dal magma impetuoso, doloroso, duro della esistenza e dei sentimenti, dalla verità individuale dei moti del cuore. Montale confessava di aver vissuto al 5 per cento, con una sublime e sofferente ironia su se stesso, su quel borghese ligure snob che non aveva mai cessato di essere. Grasso, che ha tra i suoi antenati poetici Rafael Alberti e Pablo Neruda, ci mette di fronte a una poesia che implica una esplosione grondante e spudorata di vita vissuta. Siciliano ma da decenni nel cuore della Lombardia, scrive versi esuberanti e lirici, ma anche piani e narrativi, barocchi per come sanno seguire i movimenti e i sussulti della carne e illuministi per come sanno ordinare i dati nudi dell’esperienza quotidiana. La sua poesia è una accelerazione della vita. Batte come il cuore sotto l’impulso del desiderio. È affamata di sensazioni, e segue il flusso dell’esistenza e della passione d’amore che divampa e conosce fiamme ardenti e ceneri di spietata malinconia.
L’autore sa con ferma consapevolezza che «si scrive una storia con due corpi». La storia di Sebastiano e di Giuliana non si può scrivere se non in un canzoniere nuovo: petrarchesco quando l’autore si tormenta nella sua ossessione amorosa per una donna reale, adorata e nominata sino allo spasimo, ma anche anti-petrarchesco quando individua il «porto» a cui tendere non nella quiete dell’intimità e del silenzio, ma ancora una volta nel corpo gloriosamente esibito della sua donna e nei piaceri dell’eros. Grasso non ha reticenze, per fortuna sua e dei lettori: nessuna magia, nessun aroma, nessuna modulazione dei corpi lo impaurisce. Gli amanti sono innanzi tutto gioia carnale, incontro di elementari particelle di materia. Ma in poesia tutto si fa anima. E gli amanti diventano anche psiche, sentimento, gelosia, scontro, possesso, umanità nel senso pieno del termine.
Ecco che nel canzoniere la felicità amorosa si intorbida con il tempo di lontananze, e di «accuse/ scatti, timori, minacce, paure...». Le rime diventano pietrose. Affiorano invettiva e disperazione. Sempre muovendo da occasioni precise e circostanziate, memorie ben calibrate, dati elementari dell’esperienza, questa poesia tende così a raccontarci in maniera esemplare i lati luminosi e quelli tenebrosi, quelli costruttivi e quelli autodistruttivi della passione d’amore. Non mancano pause di riflessione ironica: «Violare le labbra, i seni, il ventre/ ecco la passione, l’amore./ Non te l’hanno ancora detto/ sul lettino dello psicoanalista?».


Sincero sino all’oltraggio, Grasso ci offre un corpus poetico dove la vita si riprende quel 95 per cento che altri vorrebbe negarle, e ci ricorda che i nutrimenti eterni e fondamentali della poesia sono l’amore e la disperazione, come sapeva il giovane Neruda, e come noi sentiamo bene leggendo questi versi appassionati.

Sebastiano Grasso, La cenere ringrazia della brace e della favilla (Es editore, pagg. 195, euro 20).

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