C’è un esercito di giovani inattivi che ogni anno brucia 25 miliardi

Nel nostro Paese 1,4 milioni di ragazzi che non studiano né lavorano: è il secondo dato peggiore d’Europa. De Molli: "Ci costano come una manovra finanziaria"

C’è un esercito di giovani inattivi che ogni anno brucia 25 miliardi
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Un esercito di inattivi di 1,4 milioni. A tanto ammonta il numero di giovani che non studiano e non lavorano in Italia costando al Paese quasi 25 miliardi all’anno (pari a 1,23% del Pil Italiano) e annoverandolo come il penultimo fanalino di coda in Europa. Un bagno di realtà per i nostalgici del reddito di cittadinanza alla corte del M5S che in queste settimane stanno facendo ricomparire la misura-Conte nei programmi delle coalizioni di sinistra per le prossime elezioni regionali.
La strada imboccata negli ultimi anni è sbagliata e ci costa caro. «È un’intera manovra finanziaria», evidenzia Valerio De Molli, managing partner e amministratore delegato di The European House – Ambrosetti, sottolineando che «il futuro dei giovani è un tema poco attenzionato. Sono certo - ha aggiunto - che gli imprenditori, i manager e la classe dirigente riuniti qui in sala sapranno fare la propria parte come architetti di un futuro più promettente per i nostri giovani. Fate presto!», è il suo appello.
Soprannominati Neet (in inglese, “Not in Education, Employment or Training“), questo campione di giovani tra i 15 e i 29 anni sono un’impietosa fotografia di un Paese malato di assistenzialismo. Anche perché il tasso di Neet in Italia è del 15,2%, ben al di sopra della media Ue (11%) e ancora lontano dall’obiettivo del 9% fissato per il 2030. Di questi, 453mila giovani sono del tutto inattivi: non cercano lavoro e non frequentano alcuna attività formativa. Il fenomeno colpisce soprattutto le donne (69%), il Mezzogiorno (46%) e chi ha un basso livello di istruzione (42%).
E piove pure sul bagnato visto che la dispersione scolastica è un altro dato allarmante: il 9,8% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni ha lasciato la scuola prima del diploma, pari a circa 408mila ragazzi. Il dato, che colloca l’Italia ottava in Europa per dispersione scolastica, è ancora più grave tra i giovani di origine straniera: abbandona il 15% dei cittadini europei residenti in Italia e addirittura il 27,4% di quelli provenienti da Paesi extra-Ue.
«L’abbandono scolastico – ha commentato De Molli – apre la strada alla povertà educativa, all’emarginazione sociale e, nei casi più gravi, al coinvolgimento dei minori in attività illegali o sotto il controllo di ambienti criminali», riprendendo la dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile.
E, come se non bastasse, ogni anno l’Italia “perde“ oltre 37mila laureati. Un esodo che, secondo i calcoli del Forum, costa al Paese circa 5,1 miliardi di euro all’anno.
E questo nonostante solo il 31,6% dei giovani italiani sia laureato, un dato che ci relega al terzultimo posto in Europa. Il gap rispetto a Paesi come Irlanda (65%) e Francia (53%) è notevole. Ancora peggio se si considerano i giovani stranieri residenti in Italia: solo il 13,4% ha una laurea, contro il 37,9% della media europea.
E poi c’è il nodo dei salari.
In un contesto globale in cui i redditi medi reali crescono, l’Italia rappresenta un’eccezione negativa: è l’unico Paese Ocse in cui gli stipendi sono diminuiti rispetto al 2000. Nel 2023, il salario medio reale risultava inferiore del 3,5% rispetto a ventitré anni prima. Nel frattempo, nella media Ocse i salari sono cresciuti del 17,8%, mentre negli Stati Uniti addirittura del 27,4%. Un trend che alimenta la sfiducia tra i giovani: uno su due teme di finire in un lavoro sottopagato o precario a tempo indeterminato.


Un quadro drammatico che necessita di una scossa. «Investire nella formazione del capitale umano rappresenta la leva decisiva per garantire la stabilità dei sistemi economici e offrire alle nuove generazioni un futuro prospero», conclude De Molli.

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