Pietro Germi (1914-1974), il regista più personale e libero del cinema italiano ed europeo, in vita fu guardato con sospetto (nonostante lOscar per la sceneggiatura di «Divorzio allitaliana» e la Palma dOro per «Signore & Signori»). Era capace di girare «Le castagne sono buone »(1970) per dire che semplice è bello; di attrarre Dustin Hoffmann (protagonista di «Alfredo, Alfredo», nel 1972) col carisma della sua personalità scontrosa, ma affascinante. Un uomo, infine, che sapeva voltare il neorealismo in salsa ironica, lanciando, in pieno Sessantotto, la tematica campagnola (con «Serafino») e scoprendo, prima degli altri, la qualità comunicativa di Adriano Celentano. Così ieri, a trentacinque anni dalla sua scomparsa, alla Casa del Cinema sè visto «Pietro Germi: il bravo, il bello, il cattivo», interessante documentario di Claudio Bondi (presto su La7), tessuto intorno a materiali di repertorio e testimonianze di quanti conobbero Pietro. Alla presenza della vedova Germi, Olga DAjello, e della loro figlia Maria Lida, Claudia Cardinale (nel 1959 al centro di «Un maledetto imbroglio», tratto da «Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana» di Gadda); Lando Buzzanca, Carlo Lizzani, Pupi Avati, Virna Lisi lo hanno celebrato e ricordato.
Germi fu anche attratto dalla figura e dalla vita di Gesù, come rivela il critico Marco Vanelli, che ha scoperto uninedita sceneggiatura («Vita di Gesù») dellattore e regista, fin qui ritenuto laico. Sebbene non autografato, limportante reperto cartaceo, ora pubblicato dalla cinerivista Ciemme e custodito nellarchivio di Don Zeno, a Nomadelfia, getta una luce nuova sullopera germiana.CRSpunta la sceneggiatura che racconta Gesù visto da Giuda
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