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Lo stagno bancario

Lo stagno bancario

Due grandi banche straniere, da tempo in Italia, si sono presentate ai nostri confini, quasi quattro mesi fa, con un bell’assegno da 13 miliardi di euro per rilevare due istituti creditizi italiani, ma stancarelli, la Bnl e l’Antonveneta. Il chèque rappresentava una di quelle proposte che fanno gola. Le due zitelline trovavano finalmente un buon partito, anche se non parlava la stessa lingua, e per di più con un generoso regalo di matrimonio. Per far sì che le offerte straniere fallissero in questi mesi è successo di tutto. L’arroccamento, sia chiaro, non è prerogativa solo italiana. Due giorni fa la Pepsi Cola ha messo il naso nei conti, in rosso, della francese Danone. Tanto è bastato per far gridare al ministro delle Finanze d’oltralpe che il suo Paese non è il Far West e che nessuno si azzardi a toccare Danone. Una sorta di «eccezione culturale» anche sugli yogurt. Insomma assistiamo ad una piccola ma pericolosa deriva protezionistica.
Ora che le due opa straniere sulle banche italiane sembrano destinate a fallire, occorre però fare qualche ragionamento a mente fredda.
La Bnl, dove gli spagnoli del Bilbao si erano alleati con le italianissime Generali e Diego della Valle, sarà preda di un’eterogenea cordata di cooperative, banche straniere, finanzieri italiani e le assicurazioni Unipol, messa in piedi nelle ultime settimane. Non prima di un fallito tentativo da parte di alcune banche popolari e sondaggi condotti a vuoto verso grandi banche domestiche.
L’Antonveneta finirà invece nelle mani della Banca popolare italiana, che per la verità almeno dalla fine dell’anno scorso stava adocchiando la possibile preda.
La domanda di base, che per la verità nessuno, ma proprio nessuno, finge financo di fare è la seguente: ma per l’utente dei servizi bancari cosa conviene? Ci si rende conto che in Italia l’associazione bancaria si ostina ancora pervicacemente a sostenere che il costo dei nostri servizi è tra i più bassi in Europa? Ma ci si rende conto che per un piccolo imprenditore, non le indebitate Fiat e compagnia di giro, ottenere un fido in banca senza garanzie è un miraggio, a meno di avere uno zio o una cugina direttore? È semplicistico dire che l’ingresso degli stranieri avrebbe d’amblais migliorato la situazione. Sarebbe stato però un piccolo shock in uno stagno di immobilismo totale o di riformismo ottriato.
Gli stranieri non vanno dunque bene in sé. Ci piacciono, perché non ci piace quello che vediamo.
Una seconda considerazione meno indulgente verso l’ingresso estero merita però di essere fatta. Il caso Antonveneta a questo proposito è emblematico. Sotto un profilo strettamente di mercato l’operazione della ex banca lodigiana oggi Popolare Italiana è stata fatta e pensata con tempi e modalità più serene. Non con la semplice urgenza di fermare la scalata straniera come a tutta evidenza appare nel caso della romana Bnl. E ciò fa ben sperare per Antonveneta. Con tutta probabilità il numero uno della banca lodigiana non sarà in grado di dare quella scossa benefica di cui il mercato ha bisogno. Ma sarà in grado di costruire in un’area tra le più ricche del Paese un gruppo che ha una sua ragione industriale e di sistema. Inoltre il progetto degli olandesi è sempre stato più debole, rispetto a quello degli spagnoli, meno rispettoso della realtà locale. E la pessima gestione che gli olandesi hanno fatto in Antonveneta ha fatto sì che tutti gli imprenditori locali, presenti da tempo nel capitale della banca, non esitassero ad allearsi con l’offerta lodigiana.
Sarebbe irragionevole dunque accomunare tutte le vicende, come irresponsabilmente, sembra stia facendo la politica. È necessario stare il più lontani possibile dall’eccezione culturale allo yogurt del modello francese. Occorre grazie all’ingresso di elementi esterni al sistema immettere dosi da cavallo di competitività e concorrenza tra le banche. E infine distinguere operazione da operazione. Per evitare di avere un atteggiamento ideologico.

Che ai correntisti vessati e imprenditori non affidati serve davvero a poco.

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