la stanza di Mario CerviIl Papa, anche sull'immigrazione, deve dire parole di speranza

Caro Cervi, ricordo l'anno scorso, quando Papa Francesco andò a Lampedusa per la morte di una ventina di clandestini. Dopo poco tempo ne morirono centinaia, strage che si verifica ancora. Strano che il Papa non dica a questa povera gente di non venire, che così facendo rischiano la vita e che anche qui c'è miseria. No, silenzio. Anche la signora Boldrini ha invogliato quei disgraziati ad attraversare il mare. Si ricordi, sig. Cervi, che noi emigrati italiani siamo sempre stati accantonati dal governo: perfino il diritto del voto all'estero ci è sempre stato negato. Se ora i nostri emigranti possono votare senza poter tornare in patria devono ringraziare il ministro Tremaglia. Si ricordi che l'Italia ha avuto tanto dai nostri emigranti, che l'hanno onorata con il lavoro, nel commercio e in tante altre cose.... Giuseppe Filini
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Caro Filini, ho dovuto scorciare la sua lunghissima lettera. Che è indirizzata personalmente a me - del che posso soltanto compiacermi - ma che sembra contraddire affermazioni che io avrei fatto in tema di immigrazione e di appelli papali. Non ricordo di essermene molto occupato, ma profitto dello spunto che lei mi offre per occuparmene adesso. Anch'io giudico utopistiche - e, se vogliamo usare un termine del politichese, demagogiche - alcune prese di posizione del Papa. Che invoca accoglienza piena per tutti i migranti. Un flusso tumultuoso e inarrestabile dal quale derivano, purtroppo lo sappiamo bene, non solo le morti di tanti poveri sventurati ma anche problemi sociali spaventosi per un Paese, l'Italia, che dell'accoglienza deve farsi carico. Questa generosità si scontra con la razionalità. Non fu razionale nemmeno l'esortazione della Chiesa a procreare quando l'eccesso di popolazione veniva considerato un flagello (ora abbiamo il flagello opposto, la denatalità). Sì, può esserci del discutibile o dell'insensato nelle prediche papali. Così come insensato è il «beati gli ultimi» del Vangelo: perché non sono beati per niente su questa terra. Ma Francesco è il pastore del gregge cattolico, non un governante. Le sue parole additano traguardi spirituali che nulla hanno a che fare con lo spread e con la Tasi.

Se vi piace definitelo, prosaicamente, un sognatore distaccato dalle crude lezioni della realtà. Ma lui a me piace anche per questo, nello stesso momento in cui gli dò torto. È un annunciatore di speranze, se volete chiamatele illusioni. Fa, secondo me, il suo mestiere di Papa.

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