Se c'è un settore poco toccato dalla crisi è quello del pubblico impiego. Garantismo occupazionale; nessuna ora di cassa integrazione; se non c'è lavoro si sta a braccia conserte o con le mani in tasca; orari di lavoro comodi; permessi a volontà; assenze giustificate per mal di testa: molte; mobilità da un ente all'altro: zero; guai a causare qualche disagio per 10 minuti in più di bus o metropolitana. Il blocco degli stipendi è il minimo sacrificio, viste le perdite che subiscono i cassintegrati non più sicuri di tornare al loro posto di lavoro. Se anche i sindacati e i partiti licenziano, perché nel pubblico impiego no?
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Caro Luini, la sua requisitoria è sicuramente eccessiva perché accomuna nel discredito tutto l'impiego pubblico. Facendo così torto ai tanti statali o parastatali che con impegno e qualche volta con abnegazione tengono in piedi la sgangherata struttura del Paese. Ma molti dei suoi rilievi rispecchiano la realtà, e particolarmente la rispecchiano in questo periodo di grave crisi economica. I dipendenti pubblici - i buoni ma anche i mediocri o i cattivi - hanno nei confronti dei «privati» grandi vantaggi. La loro «azienda» non fallisce nemmeno nei settori in cui è gestita catastroficamente. Quegli uffici ed enti che se agissero in un regime di concorrenza dovrebbero subito portare i bilanci in tribunale per la dichiarazione di bancarotta sopravvivono invece imperterriti. L'aggressività sindacale - esercitata in danno d'una controparte inerte perché non ci rimette del suo - ha consentito per lungo tempo al pubblico d'avere aumenti superiori a quelli dei privati. E questo in assenza d'ogni criterio meritocratico. Gli statali e parastatali lamentano, anche a ragione, il basso livello dei loro stipendi e salari (non mi riferisco ovviamente al Bengodi di Sicilia). Ma i privati non stanno meglio, anche le loro buste paga sono magre.
Per di più sono sotto la minaccia della disoccupazione o della cassa integrazione. Le proteste dei privilegiati dipendenti pubblici sono, in quest'ottica, egoiste e sconsiderate. Ma i politici cedono perché i dipendenti pubblici sono milioni e votano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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