Una stanza nasconde i segreti di Santa Giulia

Enrico Lagattolla
I segreti della bonifica di Santa Giulia riempiono una stanza al piano terra di via Canzio, negli uffici dell’Agenzia regionale per l’Ambiente. Decine di faldoni che raccontano la storia di Montecity, dall’epoca del polo chimico della Montedison a quella delle residenze di lusso firmate Norman Foster. È una storia di controlli eseguiti dai tecnici dell’Arpa. Di verifiche puntuali, ma fatte con strumenti ridotti. Perché la normativa assegna agli esperti della Regione un ruolo quasi marginale. Analisi a campione su indagini concluse da altri. Ossia, dalla stessa «Risanamento spa», la società di Luigi Zunino che ha acquistato l’area. E in particolare da Claudio Tedesi, consulente il cui nome torna nella maggior parte delle bonifiche realizzate in Lombardia, che lavora sotto la supervisione di Silvio Bernabé, direttore tecnico di Risanamento. Sono loro a gestire la «pratica» Santa Giulia. E sono loro a comunicare lo stato dei lavori. Non solo, perché quella di Montecity è anche una storia di tonnellate di rifiuti tossici, di camion che per migliaia di volte lasciano il cantiere carichi di terreni contaminati, e di numeri che non tornano.
L’area è inquinata dalla fine dell’Ottocento, quando vi sorgevano gli stabilimenti della Appula. Ma i primi interventi di indagine sull’area risalgono al 1989. Il suolo e le acque sotterranee sono contaminati da solventi clorurati. Tre anni dopo, nel 1992, i rifiuti interrati vengono classificati come «tossico-nocivi». Parte di questi viene messa in sicurezza da Tecnimont, società del gruppo Montedison. Committente è la Sviluppo Linate, la società edilizia del gruppo Montedison, il piano è ratificato da Provincia, Regione e Comune.
Nel 2000 tutto cambia. Sviluppo Linate viene ceduta alla Nuova Immobiliare di Luigi Zunino. Tre anni dopo l’immobiliarista fa una mossa decisiva: applicando una clausola dell’accordo, si fa dare 50 miliardi di lire da Edison, più una aggiunta di 12 milioni di euro, e si assume in prima persona la gestione della bonifica. Ed è a questo punto che Zunino chiama a Rogoredo la Sadi di Giuseppe Grossi. Zunino insomma si è messo in tasca circa 37 milioni per bonificare l’area, ma quali lavori vengono davvero fatti? È in questa fase che iniziano a registrarsi le anomalie. Le stesse su cui, ora, stanno indagando Procura e Guardia di finanza.
Primo, la quantità di terra contaminata che lascia Montecity. Su un totale di un milione e 46mila metri cubi di terreni scavati, lo studio Tedesi dichiara che circa 231mila tonnellate vengono caricate sui camion e destinate alle discariche tedesche. Le società di Grossi hanno però firmato fatture per un quantitativo di materiali superiore al doppio: è un modo per gonfiare le fatturazioni e creare fondi neri. Di sicuro, è un quadro in cui si perde di vista il reale volume di rifiuti tossici «movimentati». E qui entrano in scena i trasportatori. Fuori dai cancelli di Santa Giulia, infatti, l’Arpa non ha più la competenza per verificare che i carichi arrivino realmente al sito di destinazione. Né per verificare chi ci sia realmente dietro alle società di trasporti.

Come è avvenuto per una cinquantina di convogli che da Rogoredo sono arrivati nella discarica di Roasio, nel parco naturale di Baregge in Piemonte, intestati a una ditta legata alla malavita calabrese, e in particolare al clan dei Di Giovanni. È la parte più «sporca» di questa indagine. E non è un caso che, ora, anche l’antimafia si sia interessata ai segreti delle bonifiche in Lombardia.

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