Statali in pensione a 65 anni dal 2012. Federalismo, scontro governo-regioni

Nel 2011 si potrà andare in pensione a 61 anni, poi l’anno successivo scatterà lo «scalone». Il governo si è adeguato alla sentenza della Corte di giustizia Ue, che prevede l’equiparazione uomo-donna anche sul fronte delle pensioni, almeno nel pubblico impiego. Nulla cambia per le lavoratrici del settore privato

Roma Per le dipendenti pubbliche la pensione di vecchiaia scatterà a 65 anni d’età a partire dal primo gennaio del 2012. Nel 2011 si potrà andare in pensione a 61 anni, poi l’anno successivo scatterà lo «scalone». Il governo si è adeguato alla sentenza della Corte di giustizia Ue, che prevede l’equiparazione uomo-donna anche sul fronte delle pensioni, almeno nel pubblico impiego. Nulla cambia per le lavoratrici del settore privato.
«L’impatto della norma è molto modesto», commenta il ministro del Welfare Maurizio Sacconi. Dal 2012 al 2017, cioè nel periodo dell’aumento graduale previsto in precedenza, il blocco delle uscite dovrebbe riguardare poco più di 32mila dipendenti pubbliche. Considerando che molte di esse matureranno i requisiti per la pensione anticipata di anzianità, le dipendenti ad essere colpite dovrebbero essere circa 25mila.
Dal punto di vista finanziario, il risparmio di spesa previdenziale sarebbe pari a circa 1,45 miliardi di euro nel periodo 2012-2019. Questi risparmi, assicura Sacconi, saranno destinati a finanziare misure a favore delle lavoratrici. Insomma, l’adeguamento prescritto dall’Europa sulle pensioni «non serve a far cassa», assicura il governo.
L’allungamento dell’età pensionabile sarà inserita nella manovra economica, che sta cominciando il suo viaggio al Senato. Ieri, la commissione Bilancio di palazzo Madama ha sentito i pareri di Confindustria, Agenzia delle Entrate e Bankitalia. Il responsabile del servizio studi di via Nazionale, Salvatore Rossi, ha spiegato che la correzione dei conti pubblici è adeguata agli obiettivi del governo (un deficit inferiore al 3% a fine 2012), ma allo stesso tempo i tagli e le misure fiscali potrebbero provocare una riduzione di mezzo punto del Pil nel biennio 2011-2012, comprimendo consumi e investimenti. Se dovesse presentarsi uno scenario più sfavorevole, ha puntualizzato Rossi, «potrebbero essere necessari ulteriori interventi». E non manca qualche incertezza, da parte di Bankitalia, sugli esiti effettivi della lotta all’evasione.
Di fisco hanno parlato sia Emma Marcegaglia che il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. Per la presidente di Confindustria, il pacchetto anti-evasione contiene qualche «criticità», a partire dai nuovi obblighi di comunicazione ai fini Iva e dalle forti limitazioni alla compensazione fiscale; inoltre «non appare equo» che sia il contribuente a dover pagare per intero il compenso dovuto all’agente della riscossione per l’attività di recupero. Mentre «rete Imprese Italia», l’associazione di commercio e artigianato, è preoccupata per il redditometro. Per Befera, la lotta all’evasione consentirà di recuperare 9 miliardi di euro.
Muro contro muro, infine, nel vertice con le Regioni sulla manovra. Giulio Tremonti, insieme con i colleghi Calderoli e Fitto, ha incontrato i presidenti, ma non sembra siano stati fatti passi avanti, tanto che il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, ha accusato il ministro dell’Economia di «spazzare via dal tavolo il federalismo fiscale». La replica di Tremonti: «Vogliamo incidere sui santuari della spesa, missioni all’estero e grattacieli.

I tagli per le Regioni sono sostenibili: i loro bilanci sono pari a 170 miliardi di euro (di cui 106 per la sanità, che non verranno toccati) e dunque un taglio di 5 miliardi pesa per il 3%. Si possono distribuire diversamente, ma i saldi della manovra non sono modificabili».

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