Lo Stato faccia la sua parte per la città

(...) della Milano del boom economico indica che non ci si rende conto di ciò che è avvenuto. Ai grandi capitani d’industria si sono sostituiti migliaia e migliaia di professionisti e di consulenti. Milano ha perso, non solo 450 mila abitanti, ma, con la chiusura delle industrie, ha perso 200 mila posti di lavoro di salariati e qualcosa come 20 mila esercizi commerciali.
E non è esatto dire che la finanza abbia «soppiantato» l'industria. La finanza, come la moda e la creatività, ma al pari anche del terziario ha, con il suo sforzo e grazie alla fantasia del nostro popolo, fatto in modo che Milano non soffrisse più di tanto di una perdita così colossale di funzioni; ma riuscisse a metabolizzare, riconvertendosi ad altre attività, il più massiccio e serio processo di trasformazione socio-economica che una città moderna abbia mai dovuto affrontare.
Ma in questo periodo anche lo Stato ha fatto la sua parte: praticando la linea della equità redistributiva (di per sé non negativa ove non si risolva in una sperequazione fra i diversi ambiti territoriali) ha avocato alla mano pubblica, sottraendola a quella privata, una sempre crescente quantita' di risorse finanziarie. Ha in tal modo ridotto progressivamente i margini di autonomia della iniziativa privata: confinandola sempre più nel campo privato, appunto.
E la gestione dei grandi investimenti di rilevanza pubblica, senza i quali il territorio perde ogni capacità competitiva, passa ormai inesorabilmente attraverso le decisioni politiche. Valga, un esempio tratto da molti altri casi, la vicenda Alitalia-Malpensa. E, per citare: Roma ha ottenuto una legge speciale (Roma capitale) e ingenti risorse per il Giubileo, Genova per le Colombiadi e quale Capitale della Cultura, Torino per le Olimpiadi invernali. Milano, alla vigilia della grande opportunità di rilancio rappresentata da Expo 2015, ha visto le risorse ridursi notevolmente.
E con ciò dunque si può ritenere che si sia attuato, in questo lasso di tempo, un passaggio della vita nazionale, dall’egemonia della economia, all’egemonia della politica.

E lo dimostra il fatto che oggi non c’è grande imprenditore che non sia schierato o che non militi addirittura in campo politico: forse che i capitani d'industria dei bei tempi passati facevano lo stesso?
E poi, chi lo va oggi a spiegare ai milioni di consulenti, di professionisti, al popolo delle partite Iva che, dopo tutte le tasse che pagano, devono anche mettersi insieme per finanziare i grandi investimenti strutturali ed infrastrutturali, di cui la loro regione ha bisogno per continuare a svolgere il ruolo di locomotiva del Paese?
Presidente di Assoedilizia

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