Cronaca locale

Stefania Sandrelli: il mio film tra Milano e Livorno

«Lo spettatore che più temo è mio figlio» dice Stefania Sandrelli, star del cinema internazionale, bella e solare come il suo personaggio, a Milano per la presentazione del film autobiografico di Paolo Virzì La prima cosa bella, ambientato tra il 1970 e il 2001 a Milano e Livorno, città in cui il regista toscano è ritornato per raccontare una storia di odio-amore con la sua terra e la gente che la abita. Straordinaria interprete nel ruolo di Anna Nigiotti in Michelucci l'attrice, a fianco di una splendida Micaela Ramazzotti (nei panni di Anna giovane), Valerio Mastrandrea (il figlio Bruno) e Claudia Pandolfi (la figlia Valeria), intesse un amarcord dei sentimenti sotto la talentuosa regia di Virzì. Il personaggio di Anna che rimanda ad Adriana (una giovanissima Stefania Sandrelli, con il sogno del cinema) di Io la conoscevo bene di Pietrangeli, è una donna molto bella e affascinante nella sua ingenuità, che a causa della sua bellezza avrà problemi sia con il marito gelosissimo di lei, sia con i figli che la seguiranno dopo che il marito la caccerà di casa. Con i figli, soprattutto con Bruno - anch'egli geloso della madre e schiacciato dalla sua solarità - Anna avrà un rapporto d'amore, soffocante e controverso. «Chioccia, addirittura, a volte invadente e problematica - aggiunge la Sandrelli - che per il troppo amore porterà Bruno ad andarsene». La famiglia, quindi, e i sentimenti che ruotano attorno ad essa al centro della sfera cinematografica dell'attrice viareggina, interprete di indimenticabili ruoli di donna, veri e aderenti alla realtà, tanto brava da far dimenticare di essere dentro una storia di fiction. Ancora nel ruolo di una madre che dovrà ripristinare l'ordine famigliare, Stefania Sandrelli è anche protagonista del film di Luca Lucini, La donna della mia vita, commedia sentimentale ambientata a Milano, tratta dalla penna di Cristina Comencini e di cui sono iniziate le riprese nel novembre scorso. «Il rapporto con i figli è veramente molto importante per me - spiega la Sandrelli -, e la riconciliazione finale tra Anna e Bruno, nel film di Virzi, è fondamentale anche per la rinascita del personaggio, per il quale si apre uno scenario esistenziale nuovo. La lingua del film è il dialetto livornese che diventa poi un linguaggio universale di sentimenti fragili e allo stesso tempo forti. Anna mi ricorda sempre più mia madre e mentre si lavorava e cresceva il personaggio, mi sentivo sempre più simile a lei. Una donna vitale di cui ho preso la forza». «Ambientare la storia a Milano - spiega Virzì - avrebbe significato forse qualcos’altro, anche se il personaggio di Bruno nel film vive da esiliato sia a Livorno sia a Milano, dove si è rifugiato in una vita spenta, insegnando in un istituto alberghiero. Milano, così come Livorno, diventa una grande provincia, e l’anima del personaggio sarebbe stata “gretta“ anche in una grande città».

Un film che stava nel cuore e nella mente del suo autore che prende vita a partire dai versi di Giorgio Caprone; una storia catartica di (ri)nascita alla vita adulta.

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