Stile e vestiti, crisi o non crisi la Scala non ammette stecche

Stile e vestiti, crisi o non crisi la Scala non ammette stecche

È una sorta di codice non scritto. Quell’etichetta che tutte dicono di conoscere, anche se poi molte fanno finta di niente.
Presentarsi alla Scala il 7 dicembre con la prima cosa pescata dall’armadio è un errore (e un orrore). Sarebbe un po’ come sfilare su un red carpet con un abitino low cost. Non si fa. Eppure molte «sciure» della Milano bene spesso ricorrono al vestito della sartina e dimenticano che un abito da sera, meglio se haute couture, è d’obbligo. Crisi o non crisi.
Ne sa qualcosa Lorenzo Riva, lo stilista che nei suoi atelier di alta moda veste il jet set milanese per la Prima da oltre cinquant’anni. «Ho iniziato a disegnare quando ne avevo 18, vendevo i miei modelli a stiliste come Biki, quando i preparativi per le Prime erano un rito», anche se «l’abito più prezioso per la Scala l’ho fatto anni dopo: era in cristalli neri bordato di visone selvaggio, un gioiello». Altri tempi, poi il senso dell’eleganza si è perso attraverso i decenni, e ha avuto una caduta negli anni Novanta, «quando per fare gli intellettuali gli uomini si presentavano con smoking e scarpe da tennis, o peggio in jeans. Per fortuna quei tempi sono lontani, e nel nostro piccolo regno la crisi non si sente».
Anche quest’anno infatti Riva vestirà molte signore, come «la bellissima Anna Repellini», una della sue muse, che sarà in lungo nero.
Un must, il nero, secondo lo stilista che, in alternativa consiglia sempre «i colori che scintillano», il verde ad esempio (come l’abito superchic disegnato due anni fa per Gabriella Dompè, anticipando le mode).
Cultore della lirica, negli anni non si è mai perso una Prima, quest'anno invece a Sant'Ambrogio sarà su Telelombardia a commentare in diretta i look delle sciure. E ci sarà da divertirsi, perché i suoi commenti sono taglienti. E i suoi diktat categorici: no ai «vestitoni alla Rossella O’Hara, che fanno tendone d’arredamento, ma purtroppo se ne vedono tanti!». No anche al blu «perché lo trovo funereo...».
La pensa diversamente Luisa Beccaria, nobildonna e stilista che con la sua haute couture veste decine di melomani chic, e che quest'anno ha acquistato il biglietto per la Prima dove probabilmente andrà con la figlia Lucilla (forse in bianco). Fra i tanti abiti, ne ha fatto uno proprio blu notte, in satin di seta al ginocchio per Maria Pavesi, oltre che uno rosso in duchesse e corpetto couture per Adriana Spazzoli Squinzi, moglie del presidente Mapei. I suoi diktat prevedono però altri divieti, anche se «un tocco di eccentricità è ormai permesso».
«Niente vestiti da ballo però, perché occupano più di una poltrona, ed è sconveniente per chi ti sta accanto».
E poi, «no al cappotto con il pezzo di vestito che pende, e mai abiti che scoprano la caviglia: il vestito o è corto o è lungo, le vie di mezzo sono vietate».
Anche perché la città ci tiene ancora molto a questo evento: «Una grande vetrina internazionale che ci mette al livello delle altre capitali, anche se sta crollando sempre più». Oltretutto, «non dimentichiamo che il teatro è stato per il patrizio milanese un teatro nel teatro: un tempo si andava per vedere e per farsi vedere. Oggi dovrebbe essere lo stesso».
Dello show della prima si è invece forse un po’ stufata un’altra stilista e grande appassionata di lirica, Raffaella Curiel, che quest’anno ha deciso di disertare la Prima e di andare a vedere il Don Giovanni, la sua opera preferita, al Turno A.
Tanto sarà comunque presente con i suoi abiti, che vedremo addosso a molte signore come Laura Morino Teso, Eva Bozzetti, Alessandra Artom.

Già usciti dalla storica sartoria ereditata dalla mamma Gigliola, saranno abiti lunghi volutamente sobri, ma pur sempre elegantissimi e fedeli a un'etichetta che oggi in poche seguono ancora: «Niente viola, perché una volta in tempo di Avvento e di Pasqua gli spettacoli erano vietati. E niente rosso: si rischierebbe di confondersi con le poltrone...».

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