Stop al piano regolatore, valanga di ricorsi

Manhattan o Dubai? Città del futuro o giungla di torri? I destini dello skyline milanese turbano i sonni della nuova giunta, e le ultime dichiarazioni dell’assessore all’Urbanistica Lucia de Cesaris sulla possibile revoca del Pgt, ovvero sulla riduzione delle volumetrie dei grattacieli, aprono scenari di difficile previsione.
Ma è davvero soltanto una questione di altezza o il «veto» a una città di pirelloni è il frutto di pregiudiziali ideologiche più che di valutazioni realistiche? Senza dimenticare che le «torri» (a Milano i privati avranno facoltà di costruirne all’incirca 150) sono una caratteristica dell’edilizia moderna che tende a favorire i progetti in verticale proprio per salvaguardare verde e infrastrutture. Lo stesso studio dell’architetto Boeri, neoassessore alla Cultura, ha progettato per la futura sede Rcs, un edificio che prevede una torre di 80 metri. «La mia sensazione - commenta l’ex assessore Carlo Masseroli che quel Pgt ha firmato - è che la giunta abbia le idee un po’ confuse e, sulla questione, continua a comportarsi da opposizione anzichè da maggioranza. Il mio successore deve dire chiaramente ai cittadini ciò che vuole e non solo ciò non vuole. Ossia, rischia di essere demagogico affermare che “bisogna costruire meno”, mentre il punto è: bisogna costruire come? E il nostro piano, che è stato approvato per ben due volte dal Consiglio prevede una grande opera di riqualificazione di aree degradate, affitti calmierati e tre milioni di metri quadri di verde». Anche ieri la vicenda ha scaldato il consiglio comunale, con Masseroli che ha chiesto con una mozione urgente al sindaco di pubblicare al più presto il Pgt e la replica di Pisapia: «Non temiamo di restare sommersi dai ricorsi, se si agisce nel diritto saranno dichiarati inammissibili. Ridiscuteremo tutte le osservazioni dei cittadini e nei prossimi giorni spiegheremo come». L’assessore De Cesaris rimanda alla prossima settimana le spiegazioni, ma anticipa che «il Piano com’è oggi non è pubblicabile, questa è la verità».
La realtà, come spesso accade, ha i contorni più sfumati e l’orientamento del neoassessore pare proprio quello di proporre una netta sforbiciata ai futuri grattacieli riducendo gli oltre 5,7 milioni di metri quadri previsti nei 23 ambiti di trasformazione urbana. Che vanno dall’ex Scalo Farini all’area Stephenson destinata a quartiere d’affari. Il vero nodo è se la città abbia davvero bisogno di nuove torri alte un centinaio di metri all’ombra di quelle già approvate, ovvero se tanto cemento giustifichi una reale domanda degli abitanti, in una fase storica di forte stallo del mercato immobiliare e di spopolamento degli uffici che a Milano ha toccato il 12 per cento, causa la crisi occupazionale e il caroaffitti intra moenia. Per la De Cesaris il quadro è fin troppo chiaro: la domanda è ferma, la città è disseminata di cartelli «affittasi», tanto che persino Citylife potrebbe rivelarsi un cattivo affare. Insomma che no, la colata di cemento è inutile e tutt’al più servirebbe ad attirare investitori stranieri e gruppi affaristici e speculativi, mentre le esigenze del territorio resterebbero disattese. «Questa è solo un’opinione e, in quanto tale, presuppone un atteggiamento dirigista da parte dell’amministrazione che non condivido affatto» dice Masseroli. «Da liberale penso che spetti ai privati decidere se investire conviene o no. Il Piano porta sviluppo e i futuri grattacieli, oltre a garantire maggiori spazi verdi (a Scalo Farini è stato previsto un vero e proprio “Central Park”), possono attirare quegli investitori che oggi non sono più interessati ai vecchi edifici. Ma non solo: porta sviluppo perché per anni genererà occupazione e perché prevede, non dimentichiamolo, la riconversione dei vecchi scali ferroviari in una circle line come a Londra e a Berlino, un metrò leggero collegato a tutta l’attuale rete di trasporti urbani». L’altezza dei grattacieli -ottanta metri? Cento metri? Trentaquattro piani o 41?- pare in effetti una questione di lana caprina che non vale il rischio di gettare via, come si suol dire, il bambino con l’acqua sporca.

Il punto cruciale sarà soprattutto quello di garantire alla città il rispetto dei vincoli inerenti al social housing, ovvero agli affitti calmierati e, naturalmente alle cubature di verde pubblico che a Milano resta una questione di primaria importanza.

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