Controcultura

La storia di un amore in sette temporali

Una passione travolgente come la pioggia che batte. Ma poi, come sempre, torna il sereno

Il primo temporale diventa una tempesta elettrica che è l'equivalente atmosferico di un colpo di fulmine, e noi siamo già in stanza alle nove di sera, anzi siamo già ritornati in stanza (il ristorante è stata una pessima idea, il desiderio quando è inedito toglie l'appetito), stiamo andando avanti così dal pomeriggio, l'estasi perpetua dei corpi nuovi, degli innamoramenti che della candela sono lo stoppino, prima che la conoscenza ci logori e ci corrompa, rammentandoci le cose ovvie che adesso non sappiamo più: nessuno è insostituibile, le passioni si dissolvono, andiamo avanti di orgasmo in orgasmo, e il temporale ci squassa, ogni tanto un tuono rimbomba in lontananza, un bubbolio persistente, antico, e allora ci ricordiamo di come sono state tristi le nostre storie prima di questa, indugiamo sulla pioggia che estenua le persiane dell'hotel, le case sono occupate dai rispettivi partner, trattasi di doppio adulterio, due peccati in un colpo solo, e più ci si innamora più ci si scopa, succede così nei migliori incontri, soprattutto in quelli illegittimi, che nascono pungolati dalla loro illegittimità, son doni, son regali, son miracoli strappati ai santi, tempo rubato alla morte;

il secondo temporale siamo una fucking-machine perfettamente funzionante, andiamo all'unisono, ci scambiamo uno sguardo delinquenziale nell'ammettere che sì, ci piacciamo noi, tra otto miliardi di individui proprio noi, e dopo esiste solo un forsennato volersi, il possesso che non si fa possedere mai, «Pioveva anche la prima volta che ci siamo visti» osserva lei, la nostra storia è fatta di coincidenze che vogliamo trasformare in destino, ogni relazione tenta questa impresa stupefacente, l'edificazione di un tempio, ogni coppia di amanti prova a inventare la religione del proprio amore (l'amore finisce quando si smette di crederci, non è così?), e nelle pause, tra una scopata e l'altra, restiamo ammutoliti a sentire la pioggia per il semplice motivo che, appunto, «pioveva anche la prima volta che ci siamo visti»;

il terzo temporale ci coglie impreparati all'uscita del ristorante dove, contro ogni ragionevolezza, ci siamo ostinati ad andare interrompendo la scopata iniziata al solito nel pomeriggio, bisognerebbe non uscire mai dalla stanza e per i pasti futuri approviamo all'unanimità la mozione di usufruire del room service, il tempo non è mai abbastanza ed è tutto per noi, abbiamo l'amore, l'amore sta arrivando, l'amore ci tiene intrappolati dentro la camera, ci dice che noi siamo l'unica cosa che vale la pena di essere vissuta, non c'importa delle raffiche di pioggia che s'infrangono sugli intonaci dei palazzi, anzi è la colonna sonora ideale, un richiamo perentorio alla dissoluzione, la pioggia non è per gli inibiti, la pioggia è un'istigazione liquefatta, colmiamo la stanza di ferormoni, se l'amore è un fatto chimico, come dicono, noi siamo nel pieno della reazione, la nostra provetta esplode nelle mani del povero alchimista, annerendogli la faccia, ormai ci conosciamo, ma la conoscenza non produce noia, come nei nostri rapporti ufficiali, bensì la contentezza di essere riusciti in un'impresa epica, un po' come se fossimo l'uno per l'altra una vetta conquistata, ci piazziamo a vicenda una bandierina in testa, e allora commetto il peccato capitale, dico: «Ti amo»;

il quarto temporale sembra neve che si scioglie prima di toccare terra e andare a raccogliersi in pozzanghere d'acqua sporca, e scatta la gara dell'amore, «Mi ami? Ma quanto?» diventa la doppia domanda che ciascuno rivolge all'altro, un tormentone che detta legge anche fuori dagli amplessi, ci perseguita in quelle pause tra una scopata e l'altra che, rovesciando i termini iniziali del ménage, si stanno trasformando nella vera essenza del nostro rapporto, «Io da morire, e tu?», «Io da impazzire, e tu?», la paura folle di chi si ama è amarsi di meno, amarsi vuol dire una cosa terribile e precisa, che lo stoppino dell'innamoramento è stato bruciato e adesso comincia a consumarsi la cera della candela, «Ti prendo da dietro?», «Sei troppo lontano», il sesso estremo è impraticabile nel picco dell'amore, va tentato all'inizio o alla fine delle storie, e comunque non sarà mai radicale quanto l'affetto, quel calore che si genera appena sotto lo sterno ed ha la pretesa folle di trasformarsi in bene, volere il bene dell'altro, quest'impennata delle aspettative che accelererà lo schianto;

il quinto temporale lei è bianca cadaverica, «Sono stanca» ammette, scopiamo lo stesso ma ho paura di infastidirla, mi dice di no, di continuare, ma la sento esausta, so che non vede l'ora di mettersi su un fianco per farsi coccolare, chiacchieriamo, che è un po' la stessa cosa di parlare ma senza il rischio di ferirsi, «Dopo una certa età tutto diventa nostalgia» blatera prima di addormentarsi, e io proseguo ad accarezzarla febbrilmente, come se le mie mani avessero un qualche potere curativo, e dalla finestra spalancata entra un sussurro di gocce, mi scopro schiantato dall'affetto, nei confronti di lei, di me, di questa situazione che all'improvviso mi appare più disgraziata che felice, l'amore fa vedere la propria immaginazione e non la cosa in sé, oltre questa lente c'è una donna che sbava sul cuscino a bocca semiaperta, che stronfia dal naso, impegnata a sopravvivere anche mentre dorme (sopravvivere è un'attività che non consente di perfezionarsi in nient'altro), ho un moto di disgusto, vedo troppo bene che non c'è speranza, io non posso salvare lei, lei non può salvare me;

il sesto temporale inaugura la fase del «se tu mi amassi davvero», mentre fuori piove già da un pezzo e stare asserragliati nell'hotel non è più piacevole come un tempo, discutiamo con virulenza, ci diciamo cose con una crudeltà che non pensavamo di avere, anche la pioggia aumenta d'intensità, il temporale diventa una bufera, un'imposta della finestra sbatte ripetutamente mentre ci mandiamo a quel paese, «Tu non lascerai mai tua moglie», «Nemmeno tu tuo marito», e la bufera imperversa, e l'imposta della finestra si riapre nonostante l'abbia appena accostata, «Allora sei una stronza?» le dico, «Sei una stronza sì o no?», il problema dell'amore è legato all'identità, e se tu non fossi quella che pensavo?, e se io non fossi quello che pensavi?, è infine il destino degli ex di qualunque tipo, persone che abbiamo conosciuto meglio di chiunque altro, salvo poi scoprire di non averle conosciute per niente;

il settimo temporale è tornato l'autunno, l'acqua scende riottosa nei canali di scolo, preferisco guardare giù in strada che dentro la stanza, lei è distesa sul letto e non dice niente, finito il tempo della furia è rimasta questa liofilizzazione di noi, non scopiamo più da quanto?, certi scopano come forma di compensazione rispetto al fatto che le cose non vadano più bene, noi invece niente, abbiamo imboccato la strada opposta, quella della cessazione di ogni impulso sessuale, siamo durati sette temporali (più diversi altri giorni di sole), è poco è tanto?, non esiste un metro di misura univoco, direi piuttosto che è sempre poco, qualsiasi amore, adultero o legale, dovrebbe durare di più, solo un poco di più (un anno? una notte? un minuto sul binario?), un surplus di bellezza per il mondo, io non mi schiodo dalla finestra, proprio non ho voglia di voltarmi, e allora sento lei che mi dice: «Ciao», è ancora pomeriggio, a quest'ora in genere cominciavamo a scopare, oggi ci separiamo, sento la porta della camera aprirsi e richiudersi, lei la fa sbattere di proposito, una cesura netta che non mi dispiace, perché tanto la vita va avanti, sempre avanti, la facciamo con chi c'è nel momento in cui succede, così non dovremmo rammaricarci troppo, io di essere ancora alla finestra, lei a discendere le scale, «La vita è di chi riesce a mantenere un equilibrio tra incontri e distacchi» dichiaro a me stesso, suppongo appena prima del crollo, la pioggia è finita.

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