La storia di una banda di sbandati Dalle cambiali ai milioni della Tv

Il fondatore, Giancarlo Bozzo, racconta quando gli proposero di comprare il locale, del mal di pancia di Jovanotti, della corte della Rai. E dei «traditori»

Tony Damascelli

Mattia è un pupo di quelli tosti. Ha chiesto al padre di levargli i braccioli, a cinque anni ha voglia di nuotate libere e sciolte, come fa sua sorella Anita, di anni nove; e poi ha voluto togliere le due ruotine dalla bicicletta che facevano tanto triciclo. Mattia e Anita, i saranno famosi di casa Bozzo; Giancarlo, il padre, è il titolare della ditta, famiglia e Zelig, per intenderci. La moglie Valeria, architetto, ha ridisegnato muri e scale, in viale Monza, al civico 140, là dove c’erano i cessi per rifugiarsi oggi fumano i cervelli e girano gli euro. Vent’anni di Zelig sono una cosa bella e grossa, che cosa mai c’entrano i cessi, allora? «Vent’anni fa avevo cinque milioni in banca ma mi offrirono di rilevare il locale. Avevo una birreria, Ultimo metrò, tanto per restare in tema di film. Feci cambiali in dosi industrali, non dormivo di giorno, perché di notte lavoravo infatti; per quarantott’ore mi rinchiusi in un cesso per sfuggire ai creditori. Mi aiutarono le leghe cooperative, uno sponsor garantì 70 milioni, spalmati in quattro anni, fine dell’incubo». E apertura del cesso succitato, debbo ritenere.
Vent’anni dopo, i denari sono tanti, potrebbero riempire il naviglio della Martesana, si dice, e si contano 11 milioni di euro, è il fatturato, dipendenti 25, gonfiati a 50 in casi di eventi e simili, Zelig tiene fede al nome di origine, si trasforma, vive, non vegeta. Bisio c’era già, l’Incontrada o la svizzera Michelle non ancora, se le cose fossero andate diversamente oggi in viale Monza si entrerebbe a «Oltre il Giardino» oppure a «After night» o «After hours», «Pugni in tasca», roba agghiacciante. «Passammo una notte a studiare sul nome, c’era Enzo Gentile, c’erano Gino e Michele, c’erano i frequentatori della cooperativa familiare proletaria, c’erano i Comedians, Paolo Rossi e affini, c’erano quelli che il Derby stava tramontando», vino e tabacco e pugni chiusi, non soltanto per la grana latitante. In attesa dell’architetto Valeria, Giancarlo, il camogliese, saliva sul palco e presentava. Il palco era messo di sguincio, sghembo rispetto all’entrata, con la porta del cesso, sempre quella mannaggia, in faccia a chi entrava, tre file di sedie, un separè in tela scura piazzato sulle tavole del sedicente palcoscenico, quattro metri per tre, sigarette a stecche, settemila il biglietto per accedere all’evento, Raul Cremona già mago Oronzo, Aldo, senza Giovanni e Giacomo, recitava in vesti di arancione, Gnocchi suonava, sbracato, la chitarra: «Duecentomila l’ingaggio dei comici, tutto compreso». Giancarlo Bozzo sorride al ricordo, capita vent’anni dopo, quando, cioè, si può giocare con i balocchi della memoria, sfogliando l’album, ogni tanto commuovendosi, ogni tanto stracciando qualche fotografia: «Una sera Jovanotti aveva mal di stomaco. Domandò un canarino, dico acqua calda e limone. “Quanto devo?”, chiese, educatamente. Un’altra sera, erano i tempi caldi del Partito socialista, Riondino, Angese e Staino si divertivano a togliere la pelle ai vari personaggi del garofano. In sala c’erano Bobo Craxi e Martelli. Finito lo spettacolo qualcuno mi informò che i due se ne erano andati senza pagare».
Non vedo la notizia, ma Giancarlo Bozzo ci rimase male e ancora oggi fa una smorfia con la bocca, come a dire, ma allora avete vinto! In verità aveva stravinto Lorenzo Jovanotti.
Zelig, ventenne, dunque, già festeggiato il 12 maggio scorso, data precisa della fondazione, ma pronto a celebrare con ricchi premi e cotillons, due mesi intensi, con tutto quello che fu, è stato, è, ancora sarà. I comici di ieri, oggi e domani, interviste, faccia a faccia, laboratorio, sfilata di risate e riflessioni, mica roba piccola perché qui Bozzo dice: «A Zelig si lavora, non si scherza. Ci sono stati dei traditori, non faccio nomi, gente che è uscita, che ha dimenticato. Ci sono altri che hanno aprofittato, non di noi ma del pubblico, si sono smascherati da soli, con la maleducazione, l’arroganza, ritenendo di poter vivere di rendita. Ma questa è una squadra dove ci si passa la palla altrimenti si va a casa, questo è un gruppo che coinvolge e non bluffa. Non abbiamo mai avuto censure, ostacoli; sì, qualche rimprovero, proteste scritte, telefonate, le solite cose. Piuttosto ho chiesto a qualcuno degli artisti di cancellare le battute e le allusioni alla droga, alla cocaina, roba cattiva che non serve a nulla, non può, non deve far ridere».
La televisione ha provveduto al decollo: «Freccero ci voleva alla Rai, Gino e Michele già ci lavoravano, ma ci fu qualcuno, non dico chi, che provò a dirci: il programma lo facciamo noi, voi ci date gli artisti. Grazie, scusi, andammo altrove». Venne Mediaset, ci fu la proposta, con un’alternativa imbarazzante: «Guardate che lo facciamo con la Ca’ Bianca (locale storico lungo i Navigli milanesi ndr)». Bianco diventò il volto di Bozzo, contratto chiuso, vai con Bisio e tutto il resto, fino a oggi: «Qui siamo in tre a dirigere, Gino, Michele e io, sempre d’accordo, nelle valutazioni».
Provocazione: ci sarà stato qualche errore di percorso.
Risposta: «Tutti e tre abbiamo ritenuto Maurizio Milani il più grande comico del secolo, il problema è che non è facile capirlo, noi restiamo di quell’idea. Amo Forrest, vorrei Woody Allen sul palco, è un sogno, come quello di essere regista di un film».

Calma, già Mattia senza ruotine e braccioli rischia di far l’attore, figuratevi tutti gli altri, in viale Monza, oltre il giardino, sotto la bandiera rossa ma con undici milioni in euro che provocano la più furba risata. Con la porta del cesso aperta.

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