Storia del cinghialino che ha un cane come papà

Oscar, il cinghialetto, ce l’ha fatta. Non appena alla luce, il destino l’ha messo di fronte alla sadica esperienza dell’uccisione della madre, ma Oscar, a soli due mesi, è sopravvissuto all’isola d’Elba piena di gabbiani, grazie alle attenzioni amorevoli di altri tre «fratelli»: due cavalli e un cane. La vita palpita e vissero felici e contenti, direbbero le fiabe, mettendo finalmente in pace gli antichi ricordi scolastici, quando in grembiulino candido e fiocco rosa leggevamo sul banco la lancinante novella di Grazia Deledda.
Palpebre di sale per quel cucciolo di Sardegna nato fra i tre colori più belli del mondo. Il bianco, il rosso e il verde. Il bianco delle zanne materne, il rosso delle ombre silvane, il verde delle querce. É di un bimbo povero con i «piedini sporchi», che lo tiene bene come un fratellino. Il padre del ragazzino è in carcere; per favorire la sua assoluzione la famiglia lo dona al figlio del giudice del paese che un giorno, giocando a fare la caccia, gli spara. Spegnendosi, gli occhietti dell’animale vedono solo il bianco della casa, il verde di una quercia, il rosso del suo sangue.
Invece Oscar ammira ogni giorno il riflesso corrusco del manto dei cavalli: è stato salvato dalle loro zampe, che gli fanno da box protettivo durante la giornata. Nell’umida oscurità è il tepore della pancia di un rottweiler a infondergli il caldo di una culla, sazia come il cotone. E le carezze rosa dei bambini, attratti dall’orfanello che grugnisce sereno, fanno il resto. Storia che accade in questi giorni proprio in una tenuta sulla Costa dei Gabbiani, dove un tempo, guarda il giro del caso, i nobili andavano a caccia ospiti dei marchesi Teodoli di Firenze.
Il nostro cinghialetto scorazza tra i tre colori più belli dell’isola: il rosso di un ottimo aleatico, prodotto dai vigneti di quel tratto di terra, il verde del mare e se il bianco non è proprio quello del latte materno, forse è il passaggio di una nuvola, del candore di un angelo: la sua spada impone che anche grazie al genio dirompente di un premio Nobel, alleanza divina finalmente sia stata fatta. Oscar non muore, né sparato, né in abbandono. Trotterella.
I cavalli proteggono il tondetto giocattolino e non lo perdono di vista un minuto: questo raccontano i turisti, testimoni della vicenda. La notte, il cane lo attende puntuale come una nutrice di buona famiglia. Quando decide, la natura non fa capricci, non ha giudizi, non ha macabri infortuni dovuti all’intemperante ragione. Il grugnito di un cinghiale, il nitrito di un cavallo, Il respiro di un cane non sono lingue diverse: tutte emettono il profumo di una carezza salvifica che dona i suoi giorni a un cucciolo, affinché nei piccoli occhi sfavilli, scarlatta, la passione di vita; e nei nostri, smeraldina, la speranza; e di diamante, l’intelligenza d’amore, che perdona anche al destino di un neonato cinghiale di essere stato baro e lo gira come una carta da buttare, presa di frodo fuori dal mazzo.
La madre del cucciolo non c’è più: alcuni sostengono uccisa dai braconieri: sarà vero? Si spiffera che sia stata uccisa per dare buon gusto alla nostre tavole. Le contraddizioni umane non si smentiscono mai. Ma Oscar ha salvato anche il cuore della sua mamma.

Si dice all’Elba che più di qualcuno abbia gridato, come motto solare di un Ferragosto sotto la pioggia, un Evviva! Cinghialetto, davanti a una bottiglia di buon aleatico, e che più di un turista abbia finalmente rinunciato anche a una sola fetta di salame di cinghiale, per scelta di minuscola Grazia.

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