Storia di un killer dalla «faccia d’angelo»

Lo chiamavano «Faccia d’angelo»: era il terrore del Nord Est. La mente di feroci rapine, di sanguinosi assalti a portavalori, di colpi in banche e in uffici postali. Carismatico, imprendibile, Felice Maniero negli anni Ottanta regnava con le armi sul Veneto, sul Friuli fino all’Emilia Romagna. Era il boss della Mala del Brenta, una sorta di piccola ma potente Cosa Nostra della valle Padana. E proprio lui, il capo capace di guidare i suoi gregari anche dal carcere, o dai nascondigli nei quali si rifugiava tra una evasione e l’altra, alla fine si è trasformato da carnefice in vittima. I suoi epigoni, i suoi ammiratori, quegli ex giostrai di cui si serviva, hanno messo su una nuova struttura criminale: la Nuova Mala del Brenta. E stavano lavorando a un piano per eliminare l’ex boss pentito in modo clamoroso: sarebbe dovuto saltare in aria mentre si trovava nell’aula bunker di Mestre per deporre al processo ancora in corso.
Ma chi è Maniero? «Faccia d’Angelo», classe 1954, nato a Campolongo Maggiore in provincia di Venezia, accusato di almeno sette omicidi, traffico di armi e droga e associazione mafiosa, viene arrestato per la prima volta nel 1980 e nella sua lunga carriera ha collezionato una serie di clamorose evasioni: la prima nel 1987 quando fuggì dal carcere di Fossombrone. Viene catturato nuovamente nel 1988 ma riesce a scappare l’anno successivo dal carcere di Portogruaro, per poi essere arrestato nuovamente a Capri nel 1993 e, dopo un’altra evasione, la terza nel 1994 a Padova, è riacciuffato a Torino nel novembre dello stesso anno. È così che per lui arriva la condanna: 33 anni, poi ridotti a 11. Questa volta Maniero si arrende e decide di pentirsi. Comincia a collaborare. Ma poi nel marzo del 2000 gli viene revocato il programma di protezione. Motivo, l’ex boss viene sorpreso in pubblico al volante di una bella auto sportiva. Non solo: aveva anche smesso di rendere informazioni interessanti ai magistrati. Nel 2004, dopo dieci anni, sulla banda di «Faccia d’Angelo», il cerchio si chiude.

Per 142 affiliati il sostituto procuratore Paola Mossa chiede il rinvio a giudizio per reati che vanno dall’associazione a delinquere, al traffico di droga, dalle rapine ai sequestri, alla detenzione di armi, al riciclaggio.

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