Nell’amore al tempo di Moccia, una storia come questa non starebbe in piedi. I nuovi innamorati, se vogliono, quando vogliono, si trovano in tempo reale, nell’ordine dei nanosecondi. Mandano messaggini, chattano, si rintracciano su Facebook. Non esiste che due ragazzi facciano pucci-pucci al mare e poi per decenni si perdano di vista, solo perché l’innamorata non trova la lettera dell’innamorato, grazie al genio di una madre che la fa cadere dietro al vecchio armadio.
Per quanto Moccia ne abbia inventate, rispettabilmente poetiche e romantiche, per quanto abbia dovuto strizzare la fantasia per sfornare tomi commoventi, a una cosa del genere non sarebbe arrivato mai. S’è inventato le scritte sui ponti (di questo la nazione lo ringrazia: su tutti i cavalcavia d’Italia ora campeggiano le dichiarazioni e i fatti loro delle Lory e dei Chicco in fregola). S’è inventato pure il «lucchettismo», questo fenomeno oceanico che porta le coppie a chiudere per sempre il loro amore sulle balaustre dei ponti romani, per la gioia di Peynet e dei ferramenta cittadini. Sì, anche l’amore ai tempi di Moccia concede molto al romanticismo, anzi si premura di recuperarlo e di rivalutarlo: eppure, una storia bella come questa di Carmen e Steve non se la potrebbe permettere mai. Amarsi, perdersi, sognarsi, cercarsi ritrovarsi. Anni di sospiri e di emozioni, di notti struggenti e di trepidanti attese. Tutto questo per una lettera che finisce dietro all’armadio. Un ragazzino d’oggi avrebbe tutto il diritto di considerarla una storia comica. Lui, al mare, quando acchiappa, prima ancora di avviare le procedure al chiaro di luna, ha già in mano cellulare, mail e riferimenti Facebook. Quando torna in città, l’ultimo dei problemi è ritrovare l’amata. Il vero problema, caso mai, è riuscire a evitarla. Il sospetto, però, è che nell’amore ai tempi di Moccia e di Facebook una storia bella come questa sia impensabile non tanto per difetti nel sistema di comunicazione, ma per difetti nel sistema dei sentimenti. Il fast food di oggi ha brutalmente eroso anche i margini delle passioni romantiche: il tutto e subito, la totale mancanza di ostacoli, in qualche modo sottraggono alle storie il loro terreno più fertile. Il sospetto è che anche adesso ci si possa amare moltissimo, ma che mai e poi mai due tizi potrebbero amarsi così, a distanza, senza incontrarsi e senza parlarsi, senza messaggiarsi e senza chattarsi, per poi ritrovarsi in un’altra epoca intatti come allora, cotti a fuoco lento per tutta l’eternità.
Di fronte all’anacronismo inarrivabile di questo legame, viene quasi voglia di mandare due righe, con sentite grazie, alla madre impiastro della storia, capace con la sua sciagurata leggerezza di creare un simile copione, molto più lieve e molto più commovente di qualunque soap opera lacrimevole e ruffiana, allietato persino da un trionfale lieto fine. Inutile invece star qui a pensare adesso a cosa ne sarebbe, di questa stessa madre, se Carmen, dopo aver ritrovato la lettera, avesse poi ritrovato Steve sposato e padre di quattro figli: probabilmente non saremmo più nella letteratura rosa, ma direttamente in quella sanguinaria e truculenta. Alle volte, basta niente per cambiare il corso delle storie.
Per fortuna, nell’amore al tempo delle lettere e delle madri maldestre, un incantesimo è ancora possibile. Forse, solo grazie alle lettere e alle madri maldestre. Se all’epoca del primo pomiciare Carmen e Steve si fossero subito ritrovati al cellulare, o su Facebook, forse il cuore non avrebbe avuto il tempo di maturare tutto quel sistema di corti circuiti, feroci e inspiegabili, che Marquez chiama «disordini dell’amore». Proprio Marquez: in uno dei suoi libri più celebri, L’amore ai tempi del colera, un giovanotto diventa vecchio amando sempre fedelmente e inutilmente, non corrisposto, la stessa donna. Cinquant’anni dopo, quando lei resta vedova del marito, finalmente la riavvicina e la ottiene per sé. Romanzone indimenticabile.
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