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"Una storia lunga più di mille anni travolta dal nazionalismo islamico"

"Nei Paesi arabi di ebrei non ce ne sono più: tutti scappati o uccisi"

"Una storia lunga più di mille anni travolta dal nazionalismo islamico"

Vittorio Bendaud, saggista, traduttore, coordinatore del tribunale rabbinico del Nord Italia, cosa rappresenta per l'ebraismo la cacciata dai Paesi arabi?

«Una lacerazione violenta ma non improvvisa».

Le ragioni?

«La fine dell'impero ottomano coincise con un processo di emancipazione degli ebrei. Per capire il cambiamento, bisogna pensare che in passato non erano considerati neanche degni di essere uccisi con la spada».

Cominciano a essere élite?

«No, tolta una ristretta fascia alta o media, in genere la grande maggioranza era di poveri o poverissimi. Ma i poveri musulmani erano parte della umma, i poveri ebrei avevano la sfortuna di essere poveri ed ebrei».

Cosa cambia allora?

«La Turchia fa storia a sé, ma nei territori arabi inizia la colonizzazione francese e inglese, che fa uscire le comunità ebraiche dallo statuto della dhimma».

In cosa consisteva?

«Quando viene introdotto, VII secolo, per l'epoca risulta sopportabile. I primi califfi espugnano un'area immensa, con più etnie e religioni. I musulmani in sostanza dicono: Voi, ebrei o cristiani, potete dimorare in questo nostro grande impero religioso e in quanto popoli del libro vi riconosciamo la possibilità di esistere, alcuni vostri profeti sono anche nostri, noi vi offriamo protezione, ma avrete tasse e regole particolari».

Quali?

«Vestiti con colori diversi per esempio. O forme di umiliazione. La sinagoga o il campanile più alto dovevano essere più bassi del minareto più basso della città, norma copiata da vecchi codici bizantini. Nel Maghrib vennero imposte ciabatte che coprivano per metà il piede, mentre il tallone doveva battere sul suolo. E si doveva lasciar passare il musulmano dicendo: Prego signor musulmano».

Una sottomissione non cruenta?

«Dipende, vi sono stati anche fatti di sangue e conversioni forzate. Comunque, era una sorta di cittadinanza religiosa, ma segnata dalla subalternità. Un po' come per la donna. Attenzione, questo statuto previsto dai musulmani era più liberale di quello riconosciuto in Europa. Esistettero anche società islamo-ebraiche. La teologia ebraica per 7-8 secoli era scritta da rabbini solo in lingua araba».

Però...?

«Però nei paesi islamici questo equilibrio è su un piano inclinato, con dominanti e sottomessi. E quando si rompe è uno shock. In Europa si diffondono l'Illuminismo, la secolarizzazione. E quando questa cittadinanza politica laica occidentale arriva nei territori arabi, la dhimma entra in un corto circuito violento».

Irrompono poi i nazionalismi.

«Frammenti incoerenti di pensiero moderno eccitano il nazionalismo arabo-islamico. Col collasso dell'impero ottomano nascono i Fratelli musulmani. Si crea un magma nuovo, un risentimento che entra in contatto anche col veleno sovietico. In Medio Oriente l'accusa del sangue dilaga a fine Ottocento. Vari antisemitismi si fondono, sposandosi col panarabismo. E la presenza ebraica viene vista come rottura della continuità in mondo tutto arabizzato o islamizzato. Cosa analoga succede con gli Armeni. Ecco guerre, pogrom, persecuzioni, cacciate, fughe. Israele non è causa del risentimento, ne è il catalizzatore».

Violenze uguali più o meno ovunque?

«Morti, sinagoghe devastate, cimiteri arati. Violenze terribili. In Irak centinaia di ebrei uccisi in un paio di giorni. Oggi la stragrande maggioranza dei Paesi arabi è judenrein. Ci sono Stati con 7-8 residenti ebrei, a fronte di una storia plurimillenaria. In Tunisia qualcuno in più, ma nel resto del Nord Africa tutti gli ebrei sono stati cacciati o sono scappati, hanno trovato rifugio in Europa o in Israele».

E il futuro? I Patti di Abramo fanno sperare?

«Guardi, a livello teologico l'ebraismo non ha molti problemi con l'islam, più col cristianesimo. I Patti di Abramo, per quando incipienti, per quanto caduchi, fanno sperare qualcosa. Anzi, molto.

Inshallah».

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