Storia del rock, parlano le chitarre dei grandi

È stata bruciata, è stata sbattuta contro gli amplificatori, è stata dipinta in modi bislacchi per soddisfare la sete di freak, è stata modificata per soddisfare la sete di suono. Molto dura, anche se altrettanto gloriosa, la vita per la chitarra elettrica Fender. I modelli Stratocaster e Telecaster sono un brand della vita selvaggia oltre che fantastici strumenti di lavoro per i musicisti, e hanno una storia degna dei loro testimonial. La Fender Stratocaster è la chitarra più venduta di tutti i tempi: per più di dieci anni fu un fiasco commerciale, finché non arrivò, princeps in fabula, Jimi Hendrix. Poi è apparsa a tracolla di Eric Clapton, David Gilmour dei Pink Floyd, Mark Knopfler dei Dire Straits, Ritchie Blackmore dei Deep Purple, John Frusciante dei Red Hot Chili Peppers e infiniti altri. La Telecaster l’abbiamo vista tra le mani di Bruce Springsteen, il jazzista Mike Stern, vari geni del country, eccetera.
Ma se, come canta Jovanotti, «c’è uno spirito anche dentro a un motore», figuriamoci dentro a una chitarra, strumento, come diceva Segovia, con un pizzico d’isteria, a metà tra l’apollineo e il dionisiaco. Stavolta, per gioco, anziché farle suonare le facciamo cantare. Svelandoci tic e manie dei loro padroni celebri.
La Stratocaster di Jimi Hendrix.
«Quel Carlo Verdone in Maledetto il giorno che ti ho incontrato parlava di “Questa chitarra stuprata, bruciata, sodomizzata”. Non ha capito niente, ti dico. Hendrix era un principe, un principe metà nero e metà pellerossa. Altro che freak, era un tradizionalista. I fricchettoni li odiava perché gli lasciavano casa in disordine, gli spegnevano le sigarette nelle fette di torta, gli chiedevano soldi. Detestava bruciare le chitarre: era un trucchetto che gli serviva all’inizio della carriera per colpire voialtri fessi europei, i francesi abituati alle avanguardie e spazzatura del genere. Hendrix voleva fare il jazz con Miles Davis, voleva fare musica d’orchestra. E ci sarebbe pure riuscito, se non fosse morto prima».
Blakie, la strato di Eric Clapton.
«Guardi, il signor Clapton è inglese, mi capisce. Mi tocca con aplomb, da gentleman. Le dirò, sospetto che dietro ci sia un po’ di frustrazione, comprende? Prima suonava la Gibson, ha cominciato a corteggiarmi dopo che aveva visto Hendrix con una mia sorella. Poi arrivò Jeff Beck, anche lui con una mia sorella. Ora, vede, ogni volta che Clapton si trova sul palco con Beck mi accorgo che la sua mano sinistra trema leggermente. Lui sorride, ha sempre quella faccia come dire: “vai Jeff” però le posso garantire che non è felice. Il suo è un blues all’inglese, un po’ “quieta disperazione”, mi capisce?».
La Telecaster di Bruce Springsteen
«L’ha visto a Roma l'anno scorso, no? Ha visto come salta per tre ore sul palco alla sua età? E siccome i guai della tazza li sa il cucchiaio le posso dire quanto suda. Pensi che prima del tour un liutaio mi deve modificare, impermeabilizza tutte le mie parti elettriche. Potrei esser suonata sott’acqua».
La Strato «Frankenstein» di Eddie Van Halen
«Cercava un look originale, e che fa? Mi smonta il corpo, lo avvolge con degli incroci di nastro adesivo, vernicia il tutto con la bomboletta e poi toglie il nastro. Il risultato sembra la mappa di Los Angeles. Mi è comunque andata meglio che un’altra chitarra, la Ibanez Destroyer. Visto che non gli piaceva la forma ne ha segato via un pezzo».
La Strato di Ritchie Blackmore
«Abbandonata. Ai tempi belli quando suonava coi Deep Purple tirava fuori assoli deliziosi o il riff di Smoke on the water, suonato coi polpastrelli. Sul palco era tutta una questione alcolica. Si faceva portare bottiglie di whisky dietro agli amplificatori, e per non rovinarsi lo stomaco cestini pieni di fette di pane. Da qualche anno mi ha abbandonata. Ora fa musica medievale. Suona mandoloni, chitarroni acustici e sua moglie canta. C’è un proverbio cinese che dice: «Un capello di donna lega un elefante», ne avrei in mente una versione padana un tantino più volgare, ma tant’è... ».
La Telecaster di Keith Richards
«La vede quella faccia con quelle rughe che sembra l’orrido di Botri? Lo vede quel sorriso da vecchierello? Ha letto i rimbrotti a Amy Winehouse sull’uso di stupefacenti? Sono tutte fesserie.

Il vero Keith era quello degli anni Settanta, era come Lord Byron: pazzo, cattivo e pericoloso. Una volta c’era un fan che voleva salire sul palco. Lo dissuase sbattendomi contro la testa del poveraccio. Guardi su YouTube».

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