Le spie che diedero l'atomica a Stalin

Spesso spinti da un vero fervore ideologico, alcuni scienziati - traditori o eroi a seconda del punto di vista - passarono i segreti delle "armi finali" all'Unione Sovietica rubadoli a Stati Uniti e Regno Unito

Le spie che diedero l'atomica a Stalin

Grandi scienziati diventati spie ma che oggi possiamo vedere, al contempo, come traditori e eroi. Traditori, perché passarono, spesso per ideologia, i segreti atomici e delle "armi finali" decisive per chiudere la Seconda guerra mondiale dagli Stati Uniti e il Regno Unito all'Unione Sovietica di Stalin. Eroi, col senno di poi, perché la parità atomica e l'incubo della mutua distruzione assicurata furono, in fin dei conti, il vero potere frenante, il katehon, contro la degenerazione della Guerra Fredda in Terza guerra mondiale.

Innescarono il riarmo, consegnarono i segreti dell'arma finale alla superpotenza comunista ai tempi di Iosif Stalin, piegarono alla politica la scienza. Ma quasi mai lo fecero per venalità e, anzi, proprio col loro agire fecero capire la necessità di regolamentare la competizione sugli armamenti per evitare un Far West nucleare.

Stalin, dal 1943, iniziò a desiderare ardentemente la bomba atomica. Risolta la fase più drammatica dell'aggressione nazista, diede al fedelissimo Lavrentij Beria il compito di strutturare politicamente il programma atomico guidato dal fisico Igor Kurcatov. A questo piano, lo spionaggio diede una sponda fondamentale per chiudere rapidamente il divario con l'Occidente, ai tempi ancora alleato dell'Urss, e portare Mosca al suo primo test atomico, condotto a Semipalatinsk, in Kazakistan, nel 1949.

Parliamo di un processo che i Paesi anglosassoni impegnati nella ricerca dell'atomica, anche dopo gli attacchi di Hiroshima e Nagasaki che ne svelarono al mondo l'impatto, avevano già iniziato a capire all'indomani della fine della Seconda guerra mondiale. La "Guerra Fredda", in un certo senso, iniziò a Ottawa, capitale del Canada, il 5 settembre 1945, tre giorni dopo la resa del Giappone agli Alleati. Quel giorno Igor Gouzenko, attaché all'ambasciata sovietica, chiese asilo in Canada portando decine di documenti compromettenti sullo spionaggio sovietico in Canada e negli Usa, comprendenti anche dossier sulle ricerche industriali volte all'ottenimento dell'arma atomica.

La rete di spie comprendeva l'economista Angela Chapman, il fisico Raymond Boyer e il deputato comunista Fred Rose, che passava ai sovietici i verbali delle sedute straordinarie e segrete dedicate alla discussione sui risultati americani del Progetto Manhattan.

Fondamentale, come ricorda Alfredo Mantici in Spie atomiche, anche l'operato di Klaus Fuchs, cittadino tedesco in fuga dal regime nazista riparato in Gran Bretagna. Fuchs fu allievo di Max Born ed è ritenuto uno dei più grandi teorici della storia del Novecento. Entrò a far parte dell'équipe di scienziati del laboratorio di Harwell per le ricerche atomiche, e fu messo a capo di un dipartimento nel 1942, per poi andare in America alla Columbia a lavorare al Progetto Manhattan l'anno successivo. Fuchs, nota Mantici, fu "l'inventore di un metodo per calcolare l'energia di un assemblaggio fissile estremamente critico" e controllare la trasformazione dell'uranio in plutonio, decisivo per costruire un'arma atomica. Prontamente consegnato all'Nkgb, l'onnipotente servizio segreto di Mosca, per tramite della spia Harry Gold, industriale chimico di Philadelphia figlio di cittadini russi. E negli ultimi anni, importante anche lo studio che ha portato al nome di un altro agente doppiogiochista, Oscar Seborer, cittadino americano che, come ricordato da Davide Bartoccini su Il Foglio, passò documenti particolarmente preziosi ai sovietici.

La storia di queste figure si incrocia con quella mitica dei Cambridge Five, i cinque agenti doppiogiochisti britannici al servizio dei sovietici che oltre a trasferire segreti a Mosca fecero opera di trasmissione di nomi e identità di doppiogiochisti attivi sul suolo sovietico al soldo dell'Occidente. Kim Philby (nome in codice: Stanley), Guy Burgess (nome in codice: Hicks), Donald Duart Maclean (nome in codice: Homer), Anthony Blunt (nome in codice: Johnson) e John Cairncross (nome in codice: Liszt). Tra questi Maclean, nota Gnosis, ebbe un ruolo decisivo tra le spie atomiche: "aveva accesso all’Atomic Energy Commission e non gli fu difficile sottrarre documenti che furono utilizzati dall’Unione Sovietica per mettere a punto la bomba atomica".

Ancor più profonda l'infiltrazione di Caincross: funzionario del Foreign Office britannico prima e del Tesoro poi che "trasmise quasi tutta la documentazione sulle strategie pianificate da Churchill nel War Cabinet, il Consiglio di Guerra, fornì notizie sui comitati creati per studiare l’applicazione delle scienze allo sforzo bellico e, probabilmente, fu il primo agente a informare i sovietici della decisione di inglesi e americani di costruire la bomba atomica.

Una storia complessa e decisamente oscura che ebbe più ramificazioni attorno al "cervellone" centrale di Mosca. Prescindendo dai giudizi morali sul regime stalinista, va detto che indubbiamente, però, l'atomica sovietica ebbe il duplice risultato di ottenere quel pareggio atomico tra superpotenze che fu alla base dell'equilibrio del terrore della Guerra Fredda e, dall'altro lato, di compattare il campo occidentale aiutando a riscoprire comunanze valoriali e identitarie oltre ogni differenza. Le spie atomiche, anche se non in contatto tra loro, accelerarono la storia.

E sul fronte occidentale la loro avventura deve insegnare molto circa la necessità di mediare tra rivoluzioni scientifiche, applicazioni concrete e tutela della sicurezza quando si tratta di asset critici decisivi per la sicurezza nazionale. Perché, ieri come oggi, a far la differenza è il fattore umano.

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