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"Odiavo i comunisti. Ogni tanto qualcuno spariva...". Zeman si confessa

L'allenatore ceco è a tutto campo in una lunga intervista che anticipa l'uscita della sua autobiografia. La difficile infanzia a Praga, poi l'arrivo in Italia e la sua carriera come allenatore

"Odiavo i comunisti. Ogni tanto qualcuno spariva...". Zeman si confessa

Esce per Rizzoli l'autobiografia di Zdenek Zeman "La bellezza non ha prezzo", un lavoro svolto assieme ad Andrea Di Caro, e per l'occasione l'allenatore di calcio ceco concede un'intervista al Corriere della Sera, parlando della sua vita.

L'infanzia e l'odio per il comunismo

Nato a Praga nel 1947, i suoi genitori decisero di chiamarlo Zdenek, un nome derivato dalla radice "zidati", che significa "creare, costruire". Un nome che Zeman sente molto suo. "Ho sempre cercato di creare gioco e felicità. Bellezza", confessa.

L'allenatore nasce solo due anni dopo l'arrivo dell'Armata Rossa a Praga. Il ricordo della Cecoslovacchia comunista è molto forte in lui, che si lascia andare a una dura condanna. "Odiavo i comunisti. Come li odiava mio padre, medico", racconta. "Al piano di sopra abitava il capo del partito di Praga 14, il nostro distretto. Papà talvolta urlava dalla finestra del bagno la sua rabbia contro il regime. Ogni tanto qualcuno spariva".

Un'infanzia non semplice, quella di Zeman, che ricorda le condizioni precarie della propria famiglia ma afferma di non avere mai sentito il peso della povertà. Vivere in quel periodo storico era tutt'altro che semplice. Persone sparivano, per poi ricomparire anni dopo. "Ci costringevano a festeggiare il compleanno di Stalin e di Lenin, ma io non ho mai portato un fazzoletto rosso", dichiara. "In compenso avevo una mazza da hockey e quattro palloni, anche se ogni tanto gli zingari me ne rubavano uno. Facevamo il catechismo di nascosto. Eravamo una famiglia molto cattolica", aggiunge.

Con gli anni le cose sono poi cambiate, e Zdenek Zeman è riuscito a costruirsi una vita, una carriera. Fino al suo arrivo in Italia, a Roma. "Vivo qui da 25 anni, ho allenato entrambe le squadre, e sia i laziali sia i romanisti mi vogliono ancora bene", afferma.

L'amore per il calcio e per la Juve

Juventino fin da piccolo ("Andavo a dormire con la maglia bianconera"), Zeman racconta che la Juve era stata la squadra di suo zio, Cestmir Vycpálek. Zeman arrivò in Italia nel '66 proprio per fare una visita al suo parente e da lì l'amore per il Belpaese non finì mai. "Presi l'abitudine di passare l'estate a Palermo. Anche quella del 1968, quando a Praga arrivarono i carri armati sovietici", racconta al Corriere.

A Praga però rimase fino al termine degli studi. "Il 16 gennaio del 1969 si diede fuoco Jan Palach. Il 30 giugno ripartii per l'Italia; il giorno dopo i comunisti chiusero le frontiere. Non vidi i miei genitori e mia sorella per vent'anni", racconta.

Zeman ricorda però il grande amore per il calcio, i tempi nelle giovanili del Palermo. Poi il supercorso di Coverciano, con Arrigo Sacchi, e le stagioni nel Licata. Nel '90, un anno dopo il crollo del muro di Berlino, l'allenatore fu in grado di rivedere la famiglia. "Il presidente del Foggia, Casillo, mi caricò sul suo aereo privato e mi portò a Praga. Rividi mio padre, mia madre, mia sorella, e mi pareva di averli lasciati il giorno prima. Tutte le mie cose erano lì dove le avevo lasciate: i palloni, la mazza da hockey. Mi sono sentito felice".

L'arrivo nella Capitale

"Al Centro-Sud si mangia calcio. Una volta Boksic mi disse: a Torino vinci lo scudetto e dopo un'ora non frega niente a nessuno; a Roma avremmo festeggiato mesi", dichiara Zeman, e forse proprio per questo il destino lo portò alla Lazio, nel 1994.

"Firmai nella sede della Banca di Roma, e trovai la cosa molto strana. C'era pure Geronzi, il banchiere, e mi chiese quale allenatore avrebbe dovuto prendere la Roma. Lui pensava a Trapattoni", racconta. Alla domanda, Zeman rispose che "ero appena diventato il tecnico della Lazio, e non potevo dare consigli ai rivali".

Pochi anni più tardi, però, il posto come allenatore della Roma passò proprio a lui (1997). "La Lazio mi aveva esonerato. Suona il telefono: 'Sono il presidente Sensi'. Buttai giù: 'E io sono Napoleone'. Era Sensi per davvero".

Abuso di farmaci nel calcio

Nel '98, mentre ancora allenava la Roma, Zeman rilasciò un'intervista a L'Espresso in cui denunciò l'abusivo ricorso a doping e farmaci nel mondo del calcio. Una notizia che fece scalpore, e che portò a processo la Juve. "Io ho puntato il dito contro il sistema, non solo contro la Juve, che aveva molti seguaci", dichiara Zeman. "E il problema non erano solo i farmaci. Erano anche i passaporti falsi. Era anche il condizionamento degli arbitraggi. Era anche lo strapotere della finanza", aggiunge. "Al Nord c'era l'alleanza tra Juve e Milan; l'Inter ne era esclusa, e cercava di entrare nel sistema pure lei. Altre squadre, dal Parma alla Lazio al Perugia, erano in mano alla Banca di Roma: Tanzi e Cragnotti ne uscirono rovinati, come pure Gaucci. Che fece in tempo a caricare il suo Perugia a pallettoni, per far perdere lo scudetto del 2000 alla Juve, sotto il nubifragio".

Scoppiò lo scandalo nandrolone. Parlare però costo caro a Zeman: "Il campionato 1998-1999 fu un calvario di torti arbitrali, che costarono alla mia Roma almeno 21 punti". E Sensi decise di chiudere i rapporti lavorativi con lui. Zeman finì a Napoli, poi a Lecce, di nuovo a Foggia, e a Pescara.

Sullo scandalo dei farmaci, Massimo D'Alema commentò: "Zeman? A volte dire la verità è colpa gravissima". "Era presidente del Consiglio, venne a trovarci a Trigoria. Non ha le mie idee politiche; ma l'importante era che fosse romanista", commenta Zeman.

Le idee su attualità e politica

Zdenek Zeman racconta di aver votato il Movimento 5 Stelle nel 2018. "Sono amico di Alessandro Di Battista. Mi ha anche proposto un seggio al Senato, ma la politica non fa per me, e forse neanche per lui", spiega.

Quanto alla decisione di abbattere o meno San Siro, l'allenatore ceco afferma: "Meglio semmai abbattere l'Olimpico: la partita si vede male per colpa della pista d'atletica, che si usa una sera l'anno". Duro il commento sull'Olimpiade: "Nella migliore delle ipotesi uno spreco, nella peggiore un'occasione per rubare. Come lo fu Italia '90.

Come temo saranno i Giochi invernali di Milano e Cortina".

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