Maria Grazia Coggiola
da New Dehli
La chiamano la «strage silenziosa» delle bambine indiane. Negli ultimi due decenni 10 milioni di feti femminili sono stati abortiti perché i genitori non li volevano. La stima è contenuta in uno studio di unequipe indocanadese pubblicata sulla rivista medica britannica The Lancet. Finora esistevano soltanto dei dati approssimativi sul crescente fenomeno degli aborti selettivi praticati in India nonostante una legge che dal 1994 vieta ai dottori di diagnosticare il sesso del nascituro. Con questa ricerca, che si basa su un campione di bambini venuti alla luce nel 1997, si definiscono per la prima volta i contorni di un fenomeno che ha raggiunto dimensioni scioccanti.
Secondo le stime dei ricercatori ogni anno mancano allappello almeno 500mila neonate. Non stupisce che il Fondo dellOnu per la Popolazione (Unfpa), nel rapporto annuale pubblicato lo scorso ottobre, ha calcolato che per interruzioni di gravidanza o per infanticidio sono scomparse 60 milioni di bambine solo in India. In futuro questo divario tra i sessi rischierà di creare profonde lacerazioni nel tessuto sociale. In alcuni villaggi del Rajasthan, stato Nord occidentale, non esistono più donne nubili da marito. È facile immaginare quali sono le conseguenze: aumento delle molestie e violenze sessuali, diffusione della prostituzione e anche della poliandria. È già successo che la stessa donna vada in sposa a più fratelli. La causa non è tanto la politica di contenimento delle nascite, che in India - a differenza della Cina - non è praticata, quanto la radicata e onerosa tradizione della dote che i genitori devono assicurare alle figlie se vogliono procurare loro un buon marito.
Lo studio, apparso ieri sulledizione on-line, è stato realizzato da due indiani: Prabhat Jha, un ex esperto della Banca Mondiale, ora al St. Michel Hospital, dellUniversità di Toronto e da Rajesh Kumar, dellUniversità di Chandigar, nello stato del Punjab. Insieme ad altri sei ricercatori hanno elaborato le statistiche sulla fertilità femminile estratte da una ricerca nazionale effettuata su un campione di 6mila madri e di oltre 113mila nascite. È emersa, per esempio, una percentuale molto bassa di femmine venute alla luce in famiglie in cui cerano già altre figlie. Nel caso di primogenita femmina, il secondo figlio è stato una femminuccia solo in 756 casi contro i mille maschi. Percentuale che si abbassa ancora se ci sono altre sorelline. Gli studiosi hanno notato con sorpresa un accentuato divario tra le madri istruite nei centri urbani e quelle analfabete delle campagne. Paradossalmente, le famiglie ricche sono quelle più restie a mettere al mondo delle neonate e, nello stesso tempo, sono anche quelle che hanno più possibilità di diagnosticare il sesso del nascituro. In base al tasso di natalità femminile in altri Paesi asiatici, nel 1997 in India dovevano nascere dai 13,6 ai 13,8 milioni di bambine, ma ne sono venute alla luce solo 13,1 milioni. Le cifre però vanno prese con le pinze. In India non esiste un registro anagrafico delle nascite e morti e quindi è spesso molto difficile stilare delle statistiche.
Il fenomeno è allarmante perché cresce di pari passo con la diffusione clandestina di tecniche diagnostiche, come lecografia e lamniocentesi. Sono state anche inasprite le pene per ginecologi e radiologi che, sfidando il divieto della legge, praticano questi esami in cliniche e laboratori illegali. Nonostante gli sforzi del governo che ha promesso finanziamenti e anche scuola gratis per le primogenite femmine, la strage avanza silenziosa. Il tasso di 945 femmine per mille maschi nel 1991 è sceso a 927, secondo dati del 2003. La percentuale di femmine è ancora più bassa (fino a 800 donne su mille uomini) in alcuni stati settentrionali come Haryana, Punjab e Gujarat.
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