«Le stragi di mafia del ’93 avevano un fine politico»

Le stragi mafiose del ’93 fatte per creare disordini e favorire «la possibilità a un’entità esterna di proporsi come soluzione». Lo sostiene il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, intervenuto ieri a una manifestazione nel diciassettesimo anniversario dell’eccidio di via dei Georgofili, a Firenze. «L’attentato al patrimonio artistico e culturale dello Stato - ha detto Grasso - assumeva duplice finalità: quella di orientare la situazione in atto in Sicilia verso una prospettiva indipendentista, e attuare una vera e propria dimostrazione di forza attraverso azioni crimonose eclatanti che, sconvolgendo, avrebbero dato la possibilità a un’entità esterna di proporsi come soluzione per poter riprendere in pugno l’intera situazione economica, politica, sociale, che veniva dalle macerie di Tangentopoli». Per Grasso «Cosa nostra ha inteso agevolare l’avvento di nuove realtà politiche che potessero poi esaudire le sue richieste.

Occorre dimostrare l’esistenza di un’intesa criminale con un soggetto anche politico in via di formazione, intenzionato a promuovere e sfruttare una situazione di grave perturbamento dell’ordine pubblico per agevolare le prospettive di affermazione politica; e dimostrare l’esistenza di contatti riconducibili allo scambio successivo alle stragi».

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