N el rischio non cè errore e Dakota non sbagliava mai. Era un posto senza via di fuga il villaggio di Ganjgal, provincia di Kunar, Afghanistan, una roccaforte talebana, un posto abitato soltanto da nemici e da fantasmi. Ma trovò la strada per uscire anche se la strada non cera. Dakota L. Meyer ha 21 anni, i capelli rossi e laria da sopravvissuto. Sopravvissuto lo è del resto, alla guerra, agli agguati della vita, alla Storia, quella con la «esse» maiuscola. É il primo marine che mette al collo The Medal of Honor, la medaglia dOnore del Congresso, la più alta decorazione militare degli Stati Uniti, come la Legion donore francese, la Victoria Cross britannica. Prima di lui, a partire dal 1862, lha meritata un piccolo esercito di eroi, 3445 soldati, diciannove di loro addirittura due volte, il primo, il tenente unionista Jacob Parrott, la conquistò a Stones River durante la guerra civile americana, lunica donna Mary Edwards Walker, era chirurga, femminista, prigioniera di guerra forse anche spia. Fu consegnata anche al Milite Ignoto britannico, a Charles Lindbergh e a Buffalo Bill, ma a lui fu poi revocata anche se non la riconsegnò mai. Dakota però è lunico vivo della pattuglia e quasi sempre la Medaglia donore te la danno alla memoria. Perchè il coraggio quando supera i confini non ti fa più tornare indietro. Il sergente Meyer, se lè fatta mettere al collo dal presidente Obama in una pausa pranzo, con addosso la divisa delle grandi occasioni, poi è tornato a lavorare da borghese come niente fosse. Se lè guadagnata sfidando una pioggia di fuoco, per liberare da unimboscata talebana trentasei commilitoni, americani ma anche afghani, riportando a casa anche i corpi dei caduti. «Siamo straordinariamente orgogliosi del sergente Dakota» aveva detto Obama alla Casa Bianca. Era l8 settembre 2009, ma da allora è passato un secolo. E il mondo che lo aspettava era persino peggio di quello che aveva lasciato.
Torna in America e lavora come istruttore prima in una società di contractors, anglicismo gentile che serve a sostituire il dispregiativo mercenario, e poi alla Bae System, colosso inglese della difesa militare e aerospaziale, 96mila dipendenti, come gli abitanti di Alessandria e Catanzaro, quasi quattordici milioni di fatturato. Un nemico molto più potente e armato dei talebani. Scopre che lazienda si prepara a vendere al Pakistan una partita di sofisticati cannocchiali termici per cecchini. Cè da fidarsi? Nemmeno per sogno. Scrive una mail ai suoi superiori, non è una mail qualsiasi, è una mail spedita da un eroe di guerra, dal migliore soldato dellesercito americano. Dura ma rispettosa, come si conviene a un marine: «Stiamo consegnando i migliori equipaggiamenti e la migliore tecnologia attualmente sul mercato a persone che notoriamente ci pugnalano alle spalle». Cioè stiamo armando i nemici dellAmerica, non si può, non è giusto. Ma in ballo ci sono tanti soldi, e diventa lui adesso il vero nemico.
Dakota lascia la Bae. Non dirà nulla, o forse si, non si capisce cosa imponga il codice donore, ma lì non ci vuole stare. Tornerà a lavorare dove con i contractors o un altro posto fa lo stesso, chi vuoi che chiuda la porte a un uomo decorato da mister President in persona. Invece ad aspettarlo fuori dalla Bae cè un fuoco di sbarramento e stavolta da portare in salvo cè soltanto se stesso. Nessuno lo vuole più, nemmeno la Difesa, e lui unidea sul perchè se lè fatta da subito. É una rappresaglia. Combattuta a colpi di colpi bassi, diffamazioni, veleni messi in giro dai suoi ex superiori. Anche se non è chiaro se i cannocchiali siano poi stati venduti al Pakistan. Tocca al Dipartimento di Stato decidere, spiega Bian Roehrkasse, portavoce della Bae. Che, dice, si difenderà con la stessa precisione di unarma dalle accuse delleroe. Perchè Dakota li ha portati tutti in tribunale. Mi danno del mentalmente instabile e dellalcolizzato, accusa, secondo quanto riferisce il Wall Street Journal citando le carte della causa, presentata ad un tribunale del Texas.
La Bae ha paura, ma solo delle brutte figure.
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