Gli strani silenzi dei banchieri

C’è un’assenza che brilla nel dibattito, molto confuso, di questi giorni sulla tassazione del risparmio: i banchieri. O meglio l’associazione che li raggruppa, l’Abi.
Il risparmio infatti rappresenta la loro materia prima. La merce delle banche è il denaro che viene raccolto dai cittadini, dietro al pagamento di un piccolo compenso, e fornito alle imprese, dietro il pagamento di un compenso maggiore. Inoltre le banche possiedono praticamente il 90 per cento del nostro sistema di fondi comuni di investimento: quegli organismi collettivi che remunerano il risparmio degli italiani attraverso l’impiego delle risorse raccolte in obbligazioni, anche di Stato, e azioni.
Orbene, nel programma dell’Unione si parla di armonizzazione delle rendite finanziarie: con buona probabilità si intende elevare al 20 per cento la tassazione sui guadagni di capitale e sulla rendita garantita dai titoli di Stato e si abbasserà sempre al 20 per cento la tassa sugli interessi bancari. In sostanza si ha intenzione di mutare la tassazione sulla materia prima delle 800 banche italiane, e i banchieri non prendono posizione.
Difficile immaginare un silenzio così assordante se un’ipotetica coalizione di governo chiedesse di armonizzare le imposte (il che si traduce sempre in inasprimenti fiscali) sugli utili industriali o sull’Iva. Confindustria salterebbe sulla sedia. Come in effetti già ha fatto e sta facendo sull’iniqua imposta Irap.
Insomma qua si tocca la tassazione sul risparmio e i banchieri tacciono. Zitti, tranne qualche isolato e personale caso. Silenti. Sembra quella scena dell’ultimo film di Verdone: in cui felicemente e ipocritamente si celebra una festa di anniversario di matrimonio, le cui fondamenta poggiano su un picaresco tradimento. Et voilà l’Abi come il fedifrago Verdone: il clima della perfetta sintonia si rompe con l’evidenza della documentazione scritta.
Per i banchieri le foto del tradimento sono infatti la nota predisposta dagli uffici interni: redatta in tutta fretta all’indomani della presentazione del programma dell’Unione e a ridosso del comitato esecutivo del 15 febbraio. La giunta dei banchieri italiani non ha però mai visto il lavoro degli uffici interni, il Giornale invece sì. Ecco il testo. Riguardo al programma dell’Unione si esprime: «dissenso per quanto riguarda il progetto di uniformare il sistema di tassazione delle rendite finanziarie, prevedendo un livello intermedio tra l’attuale tassazione degli interessi sui depositi bancari e quella sulle altre attività finanziarie». Più chiari di così. I banchieri di questa roba che si chiama «armonizzazione fiscale» non ne vogliono proprio sapere. E per la verità il presidente Maurizio Sella, più di un anno fa, aveva manifestato la sua contrarietà alla tassazione di Bot et similia.

Ma che fine ha fatto questa posizione? Perché la lobby dei banchieri non si pronuncia sulla tassazione del risparmio? Perché negli ultimi due comitati esecutivi della questione non si è fatto pubblico cenno?
Non è detto che la posizione dei banchieri sia la posizione corretta. Ma il fatto che una posizione pubblica manchi, stupisce davvero.

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