Roma - Un altro strappo, alla sua maniera, d’istinto. Stavolta «nel nome del padre». Un’altra piccola-grande marcatura di discontinuità, ma anche di appartenenza culturale (prima che politica), verso il suo maestro di una vita. E poi una ricucitura nel pomeriggio, stavolta su un altro piano, storico-istituzionale. Solo chi non conosce Gianfranco Fini resta interdetto di fronte a questo uno-due sulla figura complessa di Giorgio Almirante. E ovviamente, data la delicatezza del tema e il contesto in cui si torna a parlare del leader missino, bastano le prime parole ad accendere la reazione di Donna Assunta Almirante (ma non solo la sua).
Il primo intervento, in realtà, è poco più di un inciso, anche se simbolicamente molto rilevante. Sono le parole con cui il presidente della Camera, presiedendo la seduta, risponde a un deputato del Partito democratico, Emanuele Fiano, che in Aula legge un articolo del futuro leader missino scritto nel 1942 su una rivista (La difesa della razza di Telesio Interlandi) che sosteneva le leggi antisemite. Fini risponde a Fiano: «Sono certamente vergognose la frasi che lei ha letto - osserva - che esprimono un sentimento razzista che albergava in tanti, troppi, esponenti che in quegli anni, dopo la guerra si collocavano a destra e in altri casi in altre formazione politiche». Dato anche il contesto Fini si ferma qui. Anche perché già sa che nel pomeriggio dovrà tornare a parlare dell’uomo che lo ha messo alla guida del Msi nella cerimonia ufficiale con cui la Camera presenta la raccolta dei suoi discorsi in tre volumi (compilata in occasione del ventennale della scomparsa).
Il primo a dar fuoco alle polveri, con il noto tempismo mediatico, è Francesco Storace: «Sulla rivista Difesa della razza - ironizza il leader de La Destra - scrissero anche Giovanni Spadolini e Amintore Fanfani. Vergognosi pure loro?». Subito dopo arriva il commento, amareggiato di Donna Assunta: «A queste cattiverie non vale neanche la pena replicare. Mio marito è stato l’uomo della pacificazione nazionale, un vero cristiano, ha aiutato numerosi ebrei anche economicamente. Tutto il resto? Chiacchiere prive di fondamento». In un’altra dichiarazione la vedova del leader missino sembra meno preoccupata: «Il contesto è quello degli anni ’40. E in quel contesto c’erano anche altre persone come Bocca, Spadolini e Fanfani...». Lo stesso ragionamento che fa Italo Bocchino, capogruppo vicario del Popolo della libertà: «Furono vergognose le frasi razziste di tutti, anche di Spadolini e Fanfani, nonché quelle scritte da Eugenio Scalfari. La condanna verso ogni atteggiamento razzista non ha colore politico e riguarda tutti coloro che in un determinato periodo storico ne furono protagonisti». Parla anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno: «Intitoleremo la strada ad Almirante se la comunità ebraica sarà d’accordo». E paradossalmente una «difesa» arriva da Luciano Violante: «Almirante fu l’unico che, entrato nella vita repubblicana, prese le distanze da quell’esperienza. Lo fece in una dichiarazione pubblica, non in privato. Altri non lo fecero».
Così si arriva al pomeriggio. Poco prima delle cinque, Fini riceve donna Assunta. I due si chiariscono prima della cerimonia. Poi il presidente della Camera pronuncia il suo intervento: «Democrazia e pacificazione. Democrazia e nazione. È in questo doppio binomio l’insegnamento più fecondo di Giorgio Almirante a vent’anni dalla sua scomparsa». Fini lo commemora nella Sala della Lupa di Montecitorio. Oltre a Donna Assunta a sentirlo c’è Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, Luciano Violante, Gennaro Malgeri, Gennaro Acquaviva e molti altri esponenti di maggioranza e di opposizione. «Il leader del Msi - dice Fini - intuiva che non vi sarebbe mai stata piena integrazione di tutti i cittadini nelle istituzioni senza un Paese riconciliato con se stesso oltre le appartenenze di partito e in nome di un’idea condivisa di nazione». E poi: «Come uomo di parte, Almirante capiva che il futuro della destra non poteva consistere nell’inseguire fumose, velleitarie e sterili prospettive rivoluzionarie, ma nel suo essere dentro la comunità nazionale condividendone fino in fondo le sorti. La sua lungimiranza - osserva - fu nel non chiamarsi mai fuori dall’Italia anche quando l’Italia della politica puntava a marginalizzarlo e, in una certa fase, anche a perseguitarlo». E infine: «Almirante volle mantenere sempre la sua critica entro la dialettica democratica - aggiunge Fini -. La sua polemica non era diretta alla demolizione del sistema politico ma all’alternativa. Per lui alternativa voleva dire una nuova repubblica capace non solo di decisione ma anche di una più compiuta rappresentanza sociale».
Insomma, alla fine della giornata i pesi si riequilibrano.
Ma come dopo le parole su Salò, e come per quella sulla fecondazione, resta il senso di un altra svolta con cui Fini ripensa l’«album di famiglia». Lo fa facendo uscire Almirante dal proprio pantheon privato, per trovargli idealmente un posto in quello pubblico. Lo fa cambiando le luci, illuminandolo con una visione più critica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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