Cronaca locale

«Stratos» atterra al MuseoScienza

Matteo Chiarelli

Sull'Everest in deltaplano. Volando a novemila metri d'altitudine, dove non c'è quasi ossigeno, dove il freddo può raggiungere i cinquanta gradi sotto lo zero. Là si è librata un'aquila e là è voluto arrivare anche Angelo d'Arrigo, «l'uomo volante» più famoso del pianeta, che si ispira al volo degli uccelli per condurre le proprie imprese. Ad un anno esatto dalla sua mitica spedizione sul «tetto del mondo», il campione di sport estremi (sci, volo libero, alpinismo, ecc.) dona al «Museo della Scienza» il deltaplano «Stratos», con cui il 24 maggio 2004 ha sorvolato l'Everest. E proprio Leonardo, di cui lo stesso d'Arrigo è riuscito a realizzare e a far volare un macchinario, assieme all'etologo Konrad Lorenz, padre dell'imprinting tra uomo e animale, sono certo i modelli del deltaplanista italofrancese di cui, nei prossimi giorni, uscirà nelle librerie anche il volume «In volo sopra il mondo» (Mondadori). Scritto attingendo ai propri diari di viaggio, il testo ripercorre la formidabile avventura sull'Himalaya ma racconta anche le precedenti tappe di una carriera che lo ha visto partire come atleta agonista di volo libero e a motore, vincendo ogni gara e battendo tutti i primati possibili, fino a trasformarsi quasi in etologo, per l'appassionato studio sui volatili, mettendo le proprie esperienze accumulate nello sport al servizio della ricerca scientifica.
Nel libro si narra ad esempio di come, insieme ad un'aquila da lui stesso allevata, d'Arrigo abbia sorvolato in deltaplano il deserto del Sahara. Oppure di come, su richiesta dell'Università di Mosca, abbia fatto da guida ad un gruppo di gru siberiane che avevano perso la rotta, nella loro migrazione annuale, e le abbia quindi condotte fino al Mar Caspio. «Il volo è la mia passione - scrive -. Ne ho fatto una carriera professionale, ma prima di tutto è lo scopo della mia esistenza. Il volo mi ispira un senso di libertà fisico e mentale che investe spazio e tempo». Il suo connubio con gli uccelli è quasi una «Metamorfosi», come ama definirla e come ha voluto intitolare il suo progetto di ricerca, in cui nella simbiosi tra uomo e animale ognuno dà e prende qualcosa dall'altro.

Nel futuro di d'Arrigo c'è ora un condor, che egli adesso sta crescendo e studiando e col quale volerà sulle Ande fino a undicimila metri d'altezza.

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