STREET ART Al Pac le provocazioni di 32 writer

Graffiti, sticker e installazioni sono le opere in mostra da martedì

Dai muri del Leoncavallo a quelli che corrono lungo i binari delle ferrovie Nord. Dalle pareti rosse che circondano il nuovo polo per l’arte contemporanea di Triennale Bovisa alle vetrine della Rinascente. Ora i writer approdano al Pac di via Palestro 14 con una vera e propria mostra, curata da Alessandro Riva, con tanto di catalogo, per i tipi di Skira, autorità nel campo. Milano, città nota per essere la più taggata d’Europa, ha cambiato in parte atteggiamento nei confronti dei writer, da sempre considerati nemici della pubblica ammnistrazione? Se da un lato l’assessore alla Cultura Vittorio Sgarbi, dopo la sua visita al Leoncavallo bollava lo storico centro sociale «cappella Sistina della modernità», il sindaco Letizia Moratti e l’assessore all’Arredo urbano Maurizio Cadeo si facevano immortalare con grembiuli e stracci mentre pulivano i muri ricoperti di graffiti.
Dopo la retrospettiva su Basquiat in Triennale, il meglio della street art italiana approda al padiglione di Arte contemporanea per una collettiva, dal titolo «Sweet art, street art» che aprirà i battenti martedì prossimo. Trentadue gli artisti presenti, dalla vecchia scuola, come Davide «Atomo» Tinelli, coordinatore del progetto, Airone, KayOne, Rendo, Mambo, Led, Basik all’ultima generazione, definita dal critico d’arte Riva «la generazione pop up» come Microbo, Bo 130, Blu, Ericailcane, Ozmo, Abbominevole. Artisti conosciuti a livello internazionale ma noti anche ai milanesi come Pao l’ideatore dei pinguini-panettoni, Pus che dissemina sticker-scarafaggi, Ivan, poeta di strada, Tv Boy street illustratore. Ed è per questo che il percorso espositivo parte nel cortile e sulla facciata del Pac, a richiamare la natura metropolitana di un’arte nata tra Brooklyn e il Bronx negli anni ’70 ed esplosa con Jean Michel Basquiat negli anni ’80, per snodarsi tra gli spazi bianchi all’interno dove si alterneranno alberi capovolti, «pezzi» tradizionali, stanze arredate e decorate di tutto punto, spazi di poesia autogestita e bazaar di oggetti artistici. Molte delle opere sono inedite e ricorrono a tutti i linguaggi con cui in ultima istanza si esprime la street art: sticker, stencil, mascherine di legno, che troneggiano dell’installazione di Microbo e Bo 130, o come l’albero rovesciato di Marco Teatro o lo spazio di poesia autogestito, con tanto di distributore automatico di versi di Ivan. «Penso che la street art - spiega il curatore - sia una boccata di ossigeno nel sistema asfittico, chiuso e autoreferenziale dell’arte. Un modo dove le provocazioni vengono fagocitate e digerite all’interno del sistema stesso, perdendo così la propria natura eversiva. La street art, invece, interviene sulla città liberamente mandando in corto circuito anche il sistema di marketing sotteso al mondo delle gallerie. Ecco il perché del titolo della mostra “Sweet art”, a indicare un’arte che è pura poesia, pura estetica».
Al primo piano del Pac si affaccia il «Bazaar Pop Up» che raccoglie oggetti, gadget, accessori, vestiti griffati e creati dagli artisti di tutto il globo a testimoniare la continua ricerca di nuove forme di comunicazione della street art e della sua vocazione a esondare dagli schemi espressivi tradizionali.

Il termine «po up» coniato dallo steso Riva, affonda le sue radici nel Pop show, il negozio che Keith Haring apre nel 1986 a New York, in cui si vendevano gadget con riproduzioni, ma allo stesso tempo «fonde - come spiega Riva - il concetto di “pop up” in inglese “comparire”, che si riferisce alle finestre che compaiono sul computer e per estensione pezzi o sticker che compaiono da un giorno all’altro sui muri di Milano e la pop art, base della nostra cultura. Anche in questi casi, di interventi degli artisti sugli oggetti, si esprime la libertà e la carica eversiva della street art».

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