Tra streghe e nubi minacciose il fascino sinistro di Macbeth secondo Lavia

La nuova lettura del Macbeth secondo Gabriele Lavia rifiuta il facile edonismo del castello neogotico di Orson Welles. Tramutato poi, sempre al cinema, nella desolata corte di Polanski abitata da oche e galline a far da squallido controcanto ai protagonisti. Ma, a somiglianza del recente exploit compiuto sul corpus del gran testo dalle Belle Bandiere, si concentra sul povero arredo da trovarobato delle compagnie di giro del tempo che fu a connotare, in Sir e Lady Macbeth, la nevrosi di quei teatranti che mai giungeranno al culmine della carriera. Uno specchio, un baule, un sedile di contenzione che cala dall’alto, un letto sul quale le lenzuola si agitano come nubi minacciose. È lì che, sfoggiando una dizione lirica e cavernosa, Lavia ambienta ed esalta in un magico altalenarsi di note dissonanti e impetuosi soprassalti in uno strepitoso concertato vocale l’inquietante ambiguità di un’ombra. Da lui proposta come l’insanabile dissidio tra il personaggio da mostrare e l’attore chiamato a incarnarne l’infernale bassezza. Destinando le scene di massa a un’iconografia espressionista con quel banchetto gelido e straniato memore dell’antico Titus Andronicus e i quadri bellici da Teatro della Crudeltà dominati dai secchi richiami degli spari. Mentre l’alone metafisico rientra con alcune concessioni al Grand Opéra che echeggiano il Macbeth verdiano di Vilar nel formalismo degli interni. Dove le streghe, calate nella reggia, diventano ancelle di una Lady nuda e scostumata sotto una bionda parrucca alla Eva Braun, purtroppo esente dal minimo aplomb per palese inadeguatezza di Giovanna Di Rauso. Che tuttavia non infirma, ridotta com’è a spiritata marionetta, il rigore concettuale e il sinistro fascino del grande spettacolo.

Confortato da un esplicito rimando all’occultismo profetico di Blake quando Macbeth, debitamente scortato da una Lady elevata a Gran Madre delle Streghe, visita il cimitero in cui vivono, sotto la crosta sanguinosa della terra, le lamìe e le arpie che abitano l’incubo dell’esistenza umana.

MACBETH - di Shakespeare Regia e interpretazione di Gabriele Lavia. Teatro di Pisa, fino al 25 gennaio.

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