Stuprata nel sottopassaggio: «Non voglio aiuti dai politici»

Stuprata nel sottopassaggio: «Non voglio aiuti dai politici»

«Non ho bisogno di paladini. Il mio dolore è privato». Venti minuti di brutalità e la vita di una ragazza cambia per sempre. Era il 24 ottobre, le sette di mattina, e l’orizzonte era quello di una ventenne qualunque. Il terzo anno di università, gli esami da passare, gli amici, la vacanza al mare d’estate, gli esami da fare per non rimanere indietro, la laurea. Progetti, sogni. Quella doveva essere una giornata come tante altre, la macchina parcheggiata vicino alla stazione, il sottopassaggio per andare a prendere il treno, le lezioni da seguire. E invece no. È cambiato tutto. Stravolto per sempre. A pochi passi dal treno l’incontro con Julio Cesar Aguirre Zuluaga, 26 anni, colombiano. L’uomo che l’ha bloccata, minacciata con un coltello e violentata. Dolore, ricordi, rabbia. Sono passati diversi mesi.
L’uomo è stato catturato, estradato perché era fuggito in Francia. Arrestato e ora processato. A novembre lei aveva scritto una prima lettera, in cui faceva capire di essere una vittima sì, ma con nessuna voglia di essere compatita. «La violenza mi ha momentaneamente interrotto un sacco di sogni. Ciò che mi è successo non mi permette ancora di fare programmi a lunga data, perciò devo posticipare i viaggi, gli esami e la laurea». Dignità e coraggio, sofferenza e commozione. «Da questa esperienza orribile, che non auguro al mio peggior nemico, voglio uscire più forte di prima. Ma ora devo riuscire a riprendere la normalità: guidare, uscire da sola, andare all'Università». Tornare alla vita normale ma non solo. Nella lettera chiedeva ai giudici di fare in fretta, chiedeva giustizia: «Merito di voltare pagina».
Oggi la giovane donna torna a scrivere per chiedere un’altra cosa ancora: «che il processo sia solo suo», per dire alla politica, in particolare al Comune, di tenersi fuori da quello che considera solo il «suo processo». «Lasciatemi in pace. Ho già vissuto una drammatica esperienza ed intendo affrontare il processo come luogo ove il giudice si occupi esclusivamente di quel che è purtroppo accaduto alla mia persona, sentendo il Pubblico ministero, il mio legale, nel caso intendessi costituirmi parte civile e l'avvocato difensore dell'imputato e anche costui, se dovesse acconsentirvi. Ho molto sofferto in questo periodo e gradirei vivere nel privato il mio dolore senza che altri si facciano paladini in mia vece». In aula lei vuole essere sola con il suo legale, l’avvocato Aloma Piazza, il pubblico ministero, con i giudici, con l'avvocato del suo carnefice e, forse, con il colombiano che le ha cambiato per sempre la vita. E basta. Nessuna telecamera, nessun giornalista, ma soprattutto nessun rappresentante delle istituzioni. Se il Comune voleva costituirsi parte civile ora dovrà fare un passo indietro.

Una semplice, coraggiosa richiesta di chi vuole viversi il suo dolore in modo privato, intimo, chiudendo la porta di casa, lasciando fuori il rumore. È lei stessa che in fondo, alla fine della lettera, si firma: «Una ragazza la cui vita dal 24 ottobre 2011 è un po’ cambiata».

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