Stupri, niente arresti per il branco? È un passo indietro per la civiltà

Stupri, niente arresti per il branco? È un passo indietro per la civiltà

di Carlo Maria Lomartire

Già la Corte costituzionale aveva addolcito la medicina: la misura cautelare per un presunto stupratore non era più obbligatoriamente il carcere preventivo, come invece aveva deciso il Parlamento. Era stata la risposta legislativa ad un movimento d’opinione, provocato da un diffuso allarme sociale, alla cui testa era l’allora ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna. Per le toghe di Palazzo Giustiniani, dunque, in caso di stupro tornavano ad essere sufficienti, ad esempio, gli arresti domiciliari.
Come se non bastasse ora la Cassazione ha allentato ulteriormente la stretta: ha chiesto al tribunale del riesame di Roma di rivedere la decisione di somministrare il carcere preventivo a due ragazzi accusati di aver stuprato una giovane. Un’interpretazione estensiva, dunque della sentenza della Suprema Corte, applicata anche ai casi, evidentemente ben più gravi, dello stupro di gruppo; non solo al violentatore singolo ma anche al «branco».
Prevedibili, immediate e dure le reazioni, non solo da parte delle donne, non solo da parte di Mara Carfagna: «Sentenza impossibile da condividere, sentenza contro le donne».
Chiariamo subito: siamo e restiamo fermamente garantisti, l’imputato è innocente e dovrebbe essere libero fino a sentenza definitiva. Siamo e restiamo perciò anche fermamente convinti che le misure cautelari, in particolare il carcere preventivo, come male necessario ed estremo debbano essere ridotte al minimo indispensabile. Ma quando sono indispensabili, se si ritiene cioè che delle misure cautelari non si possa proprio fare a meno, allora devono avere un senso.
Devono, ad esempio, essere anche adeguate all'allarme che il reato perseguito suscita nella società in un determinato momento. Sebbene non siano ancora dovute a una condanna, devono tuttavia includere un certo potere di dissuasione, dare il senso della gravità attribuita a quel reato.
Tanto più se, come nella maggior parte dei casi di stupro, è accertata la flagranza del reato. Oltre i tre motivi, l’iterazione del reato, il pericolo di fuga e la possibilità di occultare le prove - per i quali è prevista la custodia cautelare. Viceversa, se con una serie di sentenze emesse ai più alti livelli giurisdizionali, si allenta sempre di più quella morsa che la società ha chiesto al Parlamento sovrano (ma quante eccezioni alla sua sovranità!) si dà l'impressione che in fondo quel reato, prima lo stupro singolo e poi anche quello di gruppo, siano in realtà meno gravi di quanto alla gente sembri.
Che l'allarme e l'inquietudine suscitati da certe emergenze sociali, da certe diffuse aberrazioni culturali siano sproporzionate. Che, insomma, le donne, e non solo loro, esagerino se la prendano troppo per qualcosa che alcuni concittadini dogati considerano, fondo, meno inquietante e pericoloso. Per di più questi comportamenti, questi arzigogoli giuridici ai limiti della soggettività, creano anche delle pericolose e sgradevoli contraddizioni individuali e collettive.

Costringono, come sta accadendo in questo caso, i garantisti a chiedersi fino a che punto sia opportuno affermare il principio della garanzie, invocare, insomma, l'habeas corpus.
Comportano il rischio di un decadimento dell'etica liberale. E questo è non meno grave.

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