Sua maestà Kakà: «Così ho salvato Ancelotti»

Galliani: «Carlo ed io ci siamo abbracciati. Il patto di Istanbul ora funziona»



Franco Ordine
L’uomo più abbracciato di San Siro milanista è tornato a casa, a godersi 24 ore appena di quiete dopo la tempesta di una serata col batticuore. L’uomo più abbracciato di San Siro rossonero è Carlo Ancelotti, l’allenatore discusso a Istanbul e ridiscusso a ogni risultato deludente, stritolato prima da Pirlo, di corsa col dito puntato al culmine della punizione dell’1 a 0, cercato da Gattuso sul 3 a 1 di Kakà, alla fine, scacciati gli incubi, strapazzato come un uovo al tegamino da Adrianone Galliani, sceso sul prato verde in giacca per esultare insieme e per svelare un retroscena. «Quell’abbraccio è servito a scaricare la tensione e a trasformare la qualificazione del Milan nel successo personale di Ancelotti. Su di lui c’era pressione, in caso di sconfitta poteva anche andare via» è la versione firmata da Riccardino Kakà, il predestinato, modica quantità di gol tra coppa Campioni (4) e campionato (4), ma tre sigilli uno più decisivo dell’altro nel torneo continentale. L’uomo più abbracciato di Milano è rimasto al centro del mistero per via di quella frase pronunciata in diretta tv da Galliani: «Tra me e lui c’è stato un patto, andrà via quando andrò via io, non sto scherzando», tra lo stordimento dei cronisti che erano pronti ad alzare la forca per il Carletto nostro. Spiegazione. Il giorno dopo, prima d’infilarsi lo smoking per la prima della Scala, Galliani ha svelato il retroscena: «Quel patto fu stipulato tra me e Carlo dopo Istanbul. C’erano le voci che davano l’allenatore in rotta, che attribuivano al club e a Berlusconi propositi di licenziamento. Lo presi da parte e gli dissi: Carlo, lei andrà via quando andrò via io, stia sereno e si prepari al nuovo campionato. Fu un gesto autentico, dal grande valore simbolico». «Contro lo Schalke abbiamo superato uno snodo fondamentale: fossimo usciti, sarebbe stato un crac, sportivo ed economico, per il bilancio della società. È cosa diversa dal derby: puoi perdere il derby e fare ancora bene in campionato, puoi vincerlo e chiudere male il campionato» è la convinzione di Galliani ringiovanito di vent’anni martedì notte. È ancorata alla priorità milanista. «Siamo orgogliosi delle 7 finali di coppa Campioni in 17 anni, è un primato unico, vorremmo arrivare a 8 in 18 anni, ci proveremo» è la sua promessa che pare quasi una minaccia lanciata «contro i gufi che erano già pronti a massacrarci». Concluso quell’abbraccio, Galliani ha raccolto lo sfogo di Silvio Berlusconi. «Ma si può soffrire così tanto, Adriano?» ha chiesto il patron, al telefono da palazzo Grazioli, sua residenza romana, prima di passare i complimenti al tecnico e a Kakà, «quel gioiellino pagato due lire» sottolinea sempre Galliani. E amen se resistono le polemiche sull’età della difesa. «Mai saputo che l’età di un calciatore si scopre dai calci piazzati, pensavo che fosse tradita dalla condizione fisica», la stoccata. Il coretto. L’uomo più abbracciato di Milanello non ha raccontato l’ultimo divieto imposto ai suoi. A Kakà e ai brasiliani, in particolare. «Divieto di sorridere, così ci ha detto dopo Verona, ma nel nostro caso è impossibile», racconta stupito ancora Riccardino Kakà che è andato a letto dopo cena ma ha spento la luce alle 4 di un mattino livido e pieno di nebbia dopo aver ringraziato «Shevchenko per i due magnifici assist» che rappresentano una bonaria presa in giro. Maestoso e autentico il primo, non il secondo nato invece da una «ciccata» clamorosa di Sheva sul passaggio smarcante di Filippo Inzaghi. «È stato quello il gol più difficile, in porta c’erano due difensori più il portiere, ho dovuto infilare l’unico buco libero, mi è andata bene» è la rievocazione di Kakà, messo sotto pressione dall’ambiente per la storia dei preparativi del matrimonio, cerimonia fissata per il 23 dicembre a San Paolo, Ariedo Braida e Leonardo i testimoni. Per una notte ha messo tutto da parte. Persino il timore delle provocazioni di Poulsen, è finito in un cestino. «Alla fine siamo diventati anche un po’ amici: di sicuro l’ho ignorato, ho pensato a giocare, e mi sono concentrato per mezz’ora a cercarmi una zona di campo che potesse diventare utile per me e per la squadra» ricorda e rievoca il piccolo re del Milan in un mercoledì illuminato dal sole a Milano. «Eravamo tesi, stravolti dalla tensione, a un certo punto son partito e ci siamo lasciati alle spalle la grande paura» ricostruisce paziente e meticoloso. Poi i due squilli di fanfara, con gli occhi rivolti al cielo a ringraziare il suo Dio, «è stato un giorno speciale, non ho ringraziato per i gol ma per la fortuna di avermi fatto arrivare qui, al Milan, una grande squadra» la spiegazione di Riccardino, l’angelo della coppa Campioni, l’artefice dell’abbraccio. Per fare rima, alla fine, dinanzi alla telecamera di Sky, Kakà s’è messo a cantare il coretto che gli ha dedicato la curva amica, «Siam venuti fin qua, per vedere segnare Kakà».

Kakà ha segnato, il Milan ha salvato la Champions e può guardare al derby con l’animo del sopravvissuto. «Ci darà una carica speciale questa promozione» chiude Riccardino rivedendo il filmato dell’abbraccio più famoso della settimana.

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