Il successo del libro è segno dei tempi

La questione «Codice Da Vinci» si è ulteriormente riproposta con l’uscita del film, tratto dall’omonimo bestseller di Dan Brown. È inevitabile cercare di comprendere l’enorme successo del libro che la trasposizione cinematografica (di successo anch’essa o no) contribuisce comunque ad accrescere fino alla probabile saturazione. Essendosi (se non) mobilitate (almeno svegliate) la Chiesa cattolica e la stessa Opus Dei nulla di strano se le reprimende di circostanza porteranno acqua al mulino del fortunato autore di questo romanzo in chiave esoterica con riferimento a una parte della tradizione cristiana nota soltanto agli addetti ai lavori (esegeti ed ermeneuti). Per quanto riguarda la piazza di Genova, va ricordato che il cardinale arcivescovo monsignor Tarcisio Bertone aveva anticipato la linea in atto presso le gerarchie ecclesiastiche, cominciando a tuonare per tempo.
Senza esagerare, il successo del libro (e forse del film) può essere definito un significativo tratto che delinea i nostri tempi. Il successo, lo si sa, si giustifica da sé (indipendentemente dall’angolo intellettuale più o meno accentuato dalla teologia calvinista) e suscita, per quel che reca di sorprendente e di difficile da decifrare, riverenza e considerazione. D’altra parte è però vero che la confutazione in chiave storica (libri o pamphlets sugli «errori del Codice»), esegetico-estetica (le possibili modalità di lettura dei diversi quadri: dallo stesso Da Vinci a Luca Signorelli, da David Teniers il vecchio a Nicolas Poussin), testuale-neotestamentaria (riferimenti ai vangeli «riconosciuti», a quelli «apocrifi» e a tutte le altre fonti disponibili) finiscono per non riuscire a esorcizzare il clima decisamente favorevole che si è venuto creando attorno al libro e alla storia narrata in esso con stile e artifici degni del buon «mistery».
«Il Codice Da Vinci» come segno dei tempi (abbia o no l’autore effettuato plagio su parti del volume «Il Santo Graal» di M. Baigent-R. Leigh-H. Lincoln uscito nel 1982) dà testimonianza di una rilevante metamorfosi del senso del sacro. Una parte considerevole di quel che è stato rimosso (o emarginato a un punto tale da ridurlo al lumicino) nell’ambito della storia europea - dalla dinastia dei Merovingi all’esperienza càtara, in terra di Francia: dal destino esaltante e terribile dei cavalieri Templari alla formazione lenta e faticosa della Massoneria europea -, tutto questo s’intreccia con la vicenda (incerta) del rapporto fra Cristo e la sua sposa (o compagna) Maddalena e sui loro discendenti (quelli carnali e non solo quelli, comunemente intesi, come spirituali, cioè di Apostoli e i seguaci in genere). Anche il richiamo di questa antica «storia» (che è poi l’antefatto di tutta la vicenda) esprime bene il ritorno di una problematica concernente un tratto sessuofobico che, presente all’interno dell’ebraismo-cristianesimo, ha sempre infastidito il naturale senso «pagano» dell’eros (se non come dice assai bene F. Battiato «la lotta pornocratica dei Greci e dei Latini», nella canzone «Sentimento nuevo»). L’equilibrio mantenuto a fatica (e con scivoloni in senso rigoristico) dalla Chiesa cattolica fra la tuttora dura repressione mediorientale e le trasformazioni in corso nella società europea si sta ulteriormente incrinando. Se nei paesi anglosassoni ogni realtà istituzionale (comprese le diverse espressioni ecclesiastiche) viene adeguandosi al livello medio civile che l’opinione pubblica sente largamente condiviso, la resistenza offerta dalla chiesa (per non parlare di quella forte in atto nei paesi islamici, molto più decisa e netta) appare senza dubbio indebolita. Si tratta, per quanto riguarda l’Occidente, del problema di una nuova forma di costume collettivo che si viene imponendo e che finisce per riguardare anche questioni di cui l’istituzione ecclesiastica romana è particolarmente gelosa (per es. l’eventuale libertà per i sacerdoti di contrarre matrimonio).
È innegabile che il «Codice Da VInci», così come altri libri (quanto a vendite) meno fortunati, trattino (in modo più o meno approfondito) problematiche esoteriche concernenti la fonte del sacro e le molteplici forme di iniziazione ad esso collegate. Tali argomenti hanno finito però per essere coltivati (anche nell’età contemporanea) da pochi (buoni o no che essi fossero), mentre l’esagerato favore del pubblico nei confronti di un prodotto (più o meno attraente) dell’industria culturale lascia intendere che la radice del suo successo risiede in un sentire che è si contrastato ma che in realtà si viene, in modo ora insinuante ora aperto imponendo, coadiuvato come esso è da una sorta di inevitabile relativismo che il villaggio globale dell’informazione favorisce (per non parlare dei tentativi in atto di fare dell’Europa e dell’Italia una società multietnica). È questa un’età scettica in cui le forme di dogmatismo (tanto in teoria quanto in pratica, dunque in etica e in politica) dispiacciono (questo, indipendentemente dalle indecorose buffonerie, dalle vili lamentele e dalle astuzie politiche che accompagnano simili processi).

La questione di fondo (quella più difficile da risolvere) sembra però porsi nei termini seguenti: stemperandosi e annacquandosi, dunque superficializzandosi, il tessuto del sacro, questo stesso dove è destinato a risorgere trasformato? Chi e che cosa colmerà il vuoto che si viene producendo (i cui effetti immediati possono non essere necessariamente negativi ma, alla lunga sicuramente insoddisfacenti?) Una delle ipotesi possibili, in proposito, è che la tradizione europea attingendo alle sue radici pagane e cristiane riesca a rigenerarsi in forma nuova e inaspettata, evitando la resa nei confronti dell’Islam che fin dal Medioevo ha costituito un polo di attrazione più importante di quanto sovente non si pensi.

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