Sughi e l’arte del racconto visivo

Sotto questo sole cocente l’idea di muoversi di casa per andare a vedere una mostra non sembra la cosa migliore da fare. Ma si può fare un’eccezione perché al Complesso del Vittoriano (fino al 23 settembre) c’è una mostra di una bellezza e di una intensità come non se ne vedevano da tempo. Una antologica di Alberto Sughi, classe 1928, artista di una lucidità fuori dal comune. La mostra, fortunatamente, non è relegata negli spazi inferiori del complesso, ma al grande artista di Cesena sono state dedicate le sale che fino a poco tempo fa ospitavano Chagall. L’artista italiano, però, non ha nulla da temere: la sua capacità pittorica non è inferiore ai maestri che lo hanno preceduto. Si respira cultura vedendo queste opere, la maggior parte delle quali di grandi dimensioni, e l’excursus temporale permette al visitatore di vedere cambiamenti, ripensamenti, sviluppi della mano di Sughi, dall’inizio della sua carriera, fino agli ultimi disegni in mostra, che sono del 2007. L’esposizione è di per sé un grande racconto personale, lavorando per cicli, come si faceva un tempo. Ci sono vere e proprie narrazioni di eventi, sociali e intimi, privati. La sua è una pittura filmica, sembrano quasi dei frame. Di un video. E non è un caso che proprio Fellini la definisse in tale maniera. Ottanta dipinti e circa sessanta disegni, a partire dal 1946, che si fermano su volti di uomini assorti, negati al dialogo, in un silenzio quasi assordante, non dimenticando mai il concetto di esistenza, e i vari filosofi che di questo concetto ne hanno fatto un paradigma.

È di sicuro la figura di intellettuale di maggior prestigio che è uscita dal dibattito fra realismo e astrazione del secondo dopoguerra. Nei suoi capolavori sentiamo echeggiare la presenza di artisti del calibro di Bacon e Picasso, non come presenze forti quanto come semplici segnali di un’eredità che passa di mano in mano solo ai grandi.

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