Cronaca locale

Sul palco, l’infernale quotidiano del pianeta Beckett

«Sono abbastanza morta io stessa, da non avere rispetto dei veri morti». Lo spazio di vita che diventa spazio di rappresentazione. Frammenti di architettura e frammenti di teatro si rincorrono, ridefinendo senso e aprendo nuovi significati. Così come voleva il suo autore, il grande Samuel Beckett, il drammaturgo inglese, limen tra «il noto e il futuro», che amava legare ad un luogo del tempo presente la rappresentazione delle sue opere. In scena al teatro Arsenale (fino all'8 febbraio) «Beckett, Beckett, Beckett», lo spettacolo diretto da Marina Speafico, con l'allestimento di Pierluigi Salvadeo, l'architetto milanese che ha rivisitato il luogo teatrale per costruire una scenografia ad hoc in grado di accogliere e contenere le vicende esistenziali dei personaggi beckettiani. La pièce riprende e riadatta, con la firma dei suoi ideatori, alcuni episodi tratti dalle opere dell'autore inglese che rimandano all'assurdo della quotidianità.
Proiettati come in un incubo visionario in una «wunderkammer piranesiana», personaggi dannati, usciti dal tempo, incontrano, fissati a pochi oggetti ed azioni, lo spettatore per calarsi, nell'inferno di Beckett, o ascendere ad un purgatorio illusorio (diceva Beckett: «tutto quello che voglio è star seduto sul mio culo e pensare a Dante»). Figure quasi surreali, illuminate da fasci di luce che ne definiscono i contorni straniati, scandiscono il tempo nella ripetizione di gesti, monologhi, dialoghi. Tra la Vita e la Morte c'è l'Esistenza e Vecchi e Giovani, irrigiditi nelle loro ritualità, deformati dalla precoce vecchiaia, ormai senza forma («la grossa macchia pallida») si dibattono inconsapevoli portatori di brutali verità. In scena la banalità di una vita monotona che si dispiega in azioni metaforicamente rallentate, che culminano in improvvisi scoppi d'ira, appena soffocata. Il tutto, utilizzando un linguaggio di parola e corpo, ironico, beffardo, irriverente, al limite del grottesco, giocato nei confini di un tappeto bianco che delimita lo spazio scenico e accoglie tutto intorno il pubblico.

Ben interpretato da ottimi attori, Augusta Gori, Claudia Lawrence, Marino Campanaro, Giovanni Calò, Mario Ficarazzo, lo spettacolo risuona come un elegante esercizio di stile del celebre regista inglese confezionato in onore a un autore.

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