Nel 2005 hanno generato introiti per 2,6 miliardi di euro. Allo Stato, il loro unico e legittimo possessore, ne sono andati 130 milioni. Il 5 per cento. Tutto il resto è defluito nelle casse della concessionaria - lAnas, società di proprietà pubblica - e, soprattutto, delle società subconcessionarie.
Secondo le stime presentate nel libro Invertire la rotta (ed. Il Mulino) quella delle autostrade è una delle più vantaggiose tra le varie forme di rendite basate sullo sfruttamento di elementi del demanio pubblico. La maggior parte della rete - 5.695 chilometri - è infatti gestita in subconcessione da società private, mentre lAnas ne gestisce direttamente solo 1.267 chilometri. Quanto è andato allo Stato di questo mare di denaro? Molto poco. Per 14 anni, dal 1993 al 2007, le società subconcessionarie erano tenute a erogare allerario l1% dei proventi netti del pedaggio e il 2% della pubblicità.
Ora la situazione è cambiata. Come già richiedeva nel 2006 Alfonso Rossi Brigante, presidente dellAutorità per la vigilanza sui contratti pubblici, la «congruità delle pressoché irrisorie percentuali» è stata corretta, portandola al 2,4 per cento. Ma dal 1993 allanno scorso la macchina legislativa in materia è rimasta praticamente ferma, cristallizzata, come gran parte dei lavori di ammodernamento che solo ora stanno riprendendo vigore, mentre i ricavi delle subconcessionarie galoppavano; e i risultati si sono fatti vedere: miliardi di euro di entrate per le società che detenevano che detenevano le concessioni, a fronte di briciole per lo Stato. Lo scenario è stato definito «una rendita macroscopica», da Giorgio Ragazzi, professore di politica economica allUniversità di Bergamo e autore per Lavoce.info, che ha anche provato a calcolare i numeri complessivi del business. Secondo le stime di Ragazzi dal 1999 al 2003, le concessionarie autostradali avrebbero incassato 16,7 miliardi di euro.
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