nostro inviato a Ortisei
Giro finito? No, non è finito. Rispondo subito al domandone che il Paese si è posto dopo il trionfale show di Ivan Basso a Zoldo Alto. No, il Giro non è finito. Ricomincia tutti i giorni. E tutti i giorni si diverte a svergognare le nostre verità, le nostre certezze, le nostre sentenze. Anzi, chiedo scusa per il plurale: mai (...)
(...) come stavolta mi sembra doveroso usare la prima persona singolare. Parlo per me, mi assumo le mie responsabilità. Ho iniziato a raccontare il Giro scommettendo sul duello Cunego-Basso: a metà percorso, sulle prime montagne, il mio Piccolo Principe era già in frantumi. Dopo la cronometro di Firenze, e dopo il primo tappone, mi sono poi compiaciuto di raccontare la definitiva consacrazione di Ivan Basso, un piccolo Indurain. Nemmeno il tempo di dirlo: al secondo tappone, anche il piccolo Indurain - che poi è alto come un granatiere - va in crisi e perde la maglia rosa. Mal di stomaco: forse una bibita ghiacciata, forse un panino di traverso. Succede.
Ebbene, eccomi qui: può partire il lancio di pomodori. Se è questo che il pubblico vuole, cioè il giornalista veggente e indovino, confesso il mio fallimento. Ne rispondo, non mi nascondo. Dalla catasta di ortofrutta che mi sommerge, voglio però lanciare un ultimo grido: se a qualcuno interessa ancora il giornalista testimone, che racconta e valuta quanto gli scorre davanti, allora sono pronto a riconfermare tutto. Basso è bravo, Basso è vero. E se devo giocarmi ancora una volta la faccia, o quel che resta, aggiungo fiero un ulteriore pronostico: Basso risorgerà.
Con calma, se ho ancora diritto di parola, provo anche a spiegare perché. Prima, chiedo soltanto una parentesi. Per due persone. Prima il vincitore di tappa, questo colombiano Parra, che dopo una giornata di fuga taglia il traguardo alzando al cielo la foto del suo bambino: davanti all'esultanza dei semplici, così spontanea e così pittoresca, io batto sempre le mani. Poi Savoldelli: uscito da due anni di fratture, il Lazzaro della Val Seriana confeziona una tappa capolavoro sull'ultima salita, quando risponde all'attacco dell'indomabile Simoni e va a prendersi la maglia rosa. Tutto questo - compresi gli applausi allo stesso Simoni, a un grande Di Luca e a un Cunego in ripresa - come doveroso omaggio ai migliori. Dopodiché, si può tornare al tema, della serie: qualche buon motivo per credere ancora in Ivan Basso. Anche dopo il colpo Basso.
Comincerei col dire una cosa semplicissima: è vero che i campioni si vedono quando tagliano il traguardo a braccia alzate, ma io resto dell'idea che il campione - come nella vita - si veda anche e forse soprattutto nelle giornate nere. Guarda caso, Ivan Basso paga con un minuto la sua giornata di calvario. Vittima del mal di stomaco sul durissimo Colle delle Erbe, riesce benissimo a nascondere la sofferenza e a medicare l'assalto in coppia di Cunego e Simoni (a loro, complimenti per il coraggio). Dopodiché, quando nel finale lo fanno nero, non cola a picco, ma piuttosto sfodera la classe in una strenua resistenza. Morale: se non finisce a un quarto d'ora in una simile giornata, significa che è campione. Certo, il suo problema è che oggi si replica subito con il tappone-one dello Stelvio. Riuscirà a uscire dal malanno in ventiquattr'ore?
Contro questo interrogativo, più che contro gli avversari, si avvia verso la Cima Coppi il piccolo Indurain. Tutte le altre perplessità, puntualmente emerse sul traguardo di Ortisei, mi sembrano francamente chiacchiere da ballatoio. Facili sadismi su un povero indisposto. Sì, troppo facile dire dopo il cedimento di Ortisei che Basso non regge il peso della maglia rosa, che Basso non sopporta le pendenze del Giro, che Basso senza il traino di Armstrong è poca cosa. Più difficile e più sfacciato, adesso, dire che Basso non è quello di Ortisei, ma il talento capace in gioventù di vincere il Mondiale under 23, di diventare poi l'unico bipede in grado di tenere le ruote ad Armstrong, e quindi di arrivare terzo al Tour 2004.
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