Roma

Sulle liste d’attesa il Lazio fanalino di coda

Altre regioni come Piemonte, Toscana e Sardegna hanno invece provveduto ad attuare il piano di contenimento

Antonella Aldrighetti

Tra le disposizioni della legge finanziaria 2006 c’è anche l’adozione, d’intesa con le Regioni, di un piano nazionale di contenimento delle liste di attesa per le prenotazioni sanitarie per offrire una risposta a quello che ormai sembra un fenomeno incancrenito.
Il piano nazionale, definito e concertato in Conferenza Stato-Regioni, prevedeva che «tutti gli enti territoriali entro il 30 giugno 2006 traducessero in termini attuativi i provvedimenti necessari per garantire ai cittadini l’inserimento nelle liste di attesa, nei tempi massimi fissati, avendo come riferimento classi di priorità definite in relazione al quadro clinico». Vale a dire che le Regioni avrebbero dovuto individuare 100 prestazioni sanitarie prioritarie e, per ciascuna di esse, specificare la tempistica relativa alle classi di priorità. La maggioranza delle Regioni ha ottemperato al piano di contenimento delle liste d’attesa con progetti copiosi e puntuali: così ha fatto la giunta del Piemonte, della Toscana, della Basilicata e della Sardegna mentre qualche altra Regione, pur avendo presentato una bozza di programmazione, comunque si è attivata ponendo un primo tassello contro i tempi troppo lunghi per accedere alle prestazioni sanitarie.
E il Lazio? La giunta del Lazio ha tirato dritto come se il problema non la riguardasse. Se così fosse stato però, coerenza avrebbe voluto che la maggioranza ulivista non avesse accettato le risorse statali per il potenziamento del servizio Recup, stabilite sempre nella Finanziaria 2006. Mentre è bizzarro che il ministero della Salute dinanzi a questa inadempienza regionale non si sia ancora attivato a disporre, esso stesso, il piano per l’abbattimento delle liste d’attesa nel Lazio. Già perché nel cronoprogramma della Conferenza Stato-Regioni è previsto che «in caso di mancata adozione del piano regionale e di mancata fissazione da parte della Regione dei tempi massimi per le 100 prestazioni, sarebbe stato il ministero della Salute a dettate i limiti massimi per le modalità di accesso». In altre parole in caso di inerzia regionale, i cittadini sarebbero stati garantiti da tempi massimi fissati a livello nazionale. Macché, nel Lazio il diritto dei cittadini alla cura della salute in tempo reale passa in terz’ordine: le liste d’attesa traboccano e in qualche azienda sanitaria e ospedaliera della capitale ancora si chiudono le prenotazioni malgrado sia vietato per legge sospenderle. Dinanzi a questa dimenticanza o apparente negligenza ci si pone una domanda: che la giunta Marrazzo sia troppo impegnata a redigere nuove stesure del piano di rientro del deficit per preoccuparsi di ottemperare a una legge dello Stato?
«Fino a oggi abbiamo assistito, da parte di Marrazzo, solo a una serie di dichiarazioni d’intenti, di fatti pochi. Nel caso del piano di contenimento dei tempi d’attesa non è stata presentata ancora una riga di progetto e - chiosa il vicepresidente della commissione Sanità, Cesare Cursi - abbiamo superato il 30 giugno. Mi sembra di assistere nuovamente alle promesse di un mese fa quando aveva annunciato che il risanamento del disavanzo non sarebbe passato attraverso aumenti delle addizionali. Invece, solo l’Irpef aumenterà di mezzo punto per incapacità gestionale». Ma se le tasse aumentano, l’offerta sanitaria diminuisce.

Dinanzi a questo assunto il senatore di An lancia una provocazione: «Vorrei sapere se Marrazzo chiederà a gran voce, a questo governo, come ha chiesto al governo Berlusconi più finanziamenti per sanità e politiche sociali».

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