Sulle orme di Karol, che costruì ponti tra le religioni

Il Pontefice: «Chi compie attentati vuole avvelenare i nostri rapporti»

Sulle orme di Karol, che costruì ponti tra le religioni

Elena Jemmallo

Un Papa che bussa alla porta dell’islam. Un’immagine che Ratzinger eredita direttamente da Giovanni Paolo II, che, prima di lui, aveva costruito diversi ponti verso il mondo musulmano, sostenendo con forza la necessità di un dialogo tra le religioni. I numerosissimi interventi di Papa Wojtyla sul tema, ma soprattutto i suoi frequenti viaggi hanno attribuito a Giovanni Paolo II l’immagine di comunicatore interreligioso per eccellenza.
Fin dalla sua elezione, quando si presentò al mondo con la frase «aprite le porte a Cristo», apparve chiaro che l’abbattimento delle frontiere sarebbe stato un elemento decisivo della sua avventura di Papa. Un’elezione che lo portava dalla Polonia a Roma, dall’Est all’Ovest, e che per oltre ventisette anni, è stata orientata all’abbattimento di barriere. «Aprite le porte» e «varcate le soglie» furono gli inviti che ripeteva più spesso, ma anche «guardate più ampiamente e andate al largo», che mise per iscritto nell’enciclica «Dominum et vivificantem» nel 1986.
Ma il primo verso storico gesto fu la visita in una moschea, il 6 maggio del 2001, quanto varcò la soglia della moschea di Omayyadi, il quarto luogo sacro dell’islam. E in quell’occasione, il messaggio di Wojtyla fu forte e chiaro: «Tra le due comunità ci dev’essere un dialogo rispettoso e mai più un conflitto». La fede non può e non deve diventare occasione di violenza: «È importante - disse il Papa polacco - che ai giovani vengano insegnate le vie del rispetto e della comprensione, affinché non siano portati ad abusare della religione stessa per promuovere o giustificare odio e violenza».
Sei anni prima, nel 1985, lo stesso Pontefice parlava a una folla di giovani musulmani riuniti a Casablanca, durante la sua terza visita in Africa: «Crediamo nello stesso Dio» e li invitava a rafforzare il dialogo con le altre religioni. Un anno più tardi, Wojtyla accoglieva ad Assisi i rappresentanti di tutte le religioni. Nell’81, ricevendo sette vescovi cattolici del Maghreb, parlò loro della necessità di un dialogo costruttivo con l’islam: «Quella del dialogo è una via difficile - osservò - ma per un cristiano autentico c’è in questi Paesi la possibilità di arricchiarsi della scoperta dell’ambiente culturale e spirituale del mondo musulmano. Ed è per questo che i cattolici che vivono tra i musulmani devono assumere il dialogo come caratteristica essenziale».
L’idea che islam e cristianesimo non dovessero essere nemici, ma alleati per costruire un «mondo nuovo» è un concetto ribadito più volte. Come nel ’97, all’incontro con la conferenza episcopale dell’Egitto dei Copti. «La Chiesa - disse Wojtyla - invita instancabilmente cristiani e musulmani a sforzarsi sinceramente alla reciproca comprensione e a proteggere e promuovere insieme la pace e la libertà».
E poi, nel maggio del 2004, l’invito all’accoglienza e al superamento dei pregiudizi con i credenti musulmani immigrati.

«L’umanità del terzo millenio - spiegò all’assemblea plenaria del pontificio consiglio della Pastorale per i Migranti - ha un urgente bisogno di ritrovare comuni valori spirituali, su cui fondare il progetto di una società degna dell’uomo».

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