
Le premesse ci sono tutte: anno giubilare e, insieme, anno di conclave. C'è un cammino in Italia che consente di riallacciare le fila di queste storie. È il Cammino grande di Celestino. Rientra nel novero di quelli pensati e ideati dall'Ufficio speciale per la ricostruzione, grazie ai finanziamenti del Pnrr. S'inserisce, dunque, in un dedalo di proposte di «turismo lento» che, intersecandosi, giungono a coprire quasi tutto il territorio della regione. Esse evidenziano, ancor di più, la vocazione naturale dell'Abruzzo per il genere. La regione verde d'Europa, con i suoi grandi silenzi sembra, infatti, l'ideale per quanti intendano percorrerla e lentamente scoprirla. Magari in compagnia, ma senza rinunziare al tempo della riflessione interiore. In Abruzzo, inoltre, sono tanti i percorsi che dalla montagna giungono fino al mare. Il Cammino grande di Celestino rientra nel genere: in dodici tappe dalla Basilica di Collemaggio ad Ortona. Con l'auspicio che si trovino le risorse per spingersi fino al Gargano, teatro della tentata fuga di Celestino verso la Grecia.
Veniamo, ora, all'attualità stretta del cammino. «Quei farai Pier dal Morrone, ei venuto al Paragone?». Jacopone da Todi, uno dei primi rimatori in volgare, ci rinvia a quel 1294 quando Piero Angelari da Morrone fu raggiunto, sul monte dove soggiornava, dalla notizia d'essere divenuto Papa. Da lì si mosse verso l'Aquila e, al termine della discesa, giunto a Collemaggio, emise una storica bolla: chiunque tra il 28 e 29 agosto avesse attraversato la Porta Santa della Basilica avrebbe ricevuto l'indulgenza plenaria. Da allora la tradizione non è mai venuta meno. In epoca contemporanea sia Paolo VI che Francesco si sono recati nel capoluogo abruzzese per rinnovare l'adesione della Chiesa alle celebrazioni. Agli inizi, però, non tutto era andato così liscio. Bonifacio VIII, successore e grande nemico di Celestino, si arrabbiò moltissimo. E nel 1295, con una nuova bolla, provò ad annullare le disposizioni dello scomodo predecessore. Al punto che lo stesso Giubileo, istituito nel 1300, può considerarsi come la risposta istituzionale a una iniziativa spirituale: nocciolo del conflitto tra due pontefici così diversi, che solo Dante poté accomunare in una condivisa condanna.
Assieme a un gruppo di amici, sono divenuto un esperto di cammini, avendone svolti tanti e tanti in Italia e in Europa. È stata una gioia, dunque, quando ci è stato richiesto di testare questo nuovo percorso, per evidenziarne pregi ed eventuali difetti. Già il materiale fornito a ogni camminatore rappresenta un implicito invito a riannodare passato e presente. Oltre alla classica cartina, vi è una app che persino un analfabeta informatico è in grado di scaricare. E che rappresenta un ponte virtuale tra medioevo e modernità. Ti guida lungo la via ma la si attiva a piacimento. Puoi decidere, insomma, se e quando i tuoi passi debbano affondare in un passato fatto rivivere attraverso pregevoli ricerche storiche, antropologiche e geografiche.
Al momento della partenza, invece, è quasi impossibile, per quanti l'hanno letto, sfuggire alla tentazione di riandare con la mente all'Avventura di un povero cristiano, dove Ignazio Silone ripercorre la vicenda del Papa suo conterraneo. Il cammino, infatti, si avvia laddove il romanzo ha il suo incipit: sul grande pratone con a destra l'ex ospedale psichiatrico e di fronte il rivestimento in pietra locale della facciata di Collemaggio, oggi splendidamente restaurata. Si consiglia di avviarsi dopo le 8.30 del mattino. Un po' tardi per un camminatore. La breve posticipazione consente, però, di visitare la chiesa. E ne vale la pena. Così, è anche possibile chiedere a San Pietro Celestino, che lì riposa, indulgenza per il cammino.
Usciti dall'Aquila, si prende il corso del fiume Aterno, al quale è legata a doppio filo la sorte della città. L'Aquila, infatti, si trova al centro di due valli: quella dall'Aterno propriamente detta e la Subequana, che ci troviamo a percorrere. La prima è caratterizzata dai mestieri e, inevitabilmente, ha Roma come meta dai suoi laboriosissimi abitanti. La Subequana, invece, ha una vocazione agricola nella quale convivono latifondi di grandi famiglie e usi civici. Percorsa da innumerevoli transumanze, segue sulla sinistra il profilo del massiccio del Gran Sasso; mentre il Sirente, in questo primo tratto, fa soltanto capolino di tanto in tanto. La tappa è tutta in pianura. Con un'impennata finale si raggiunte Fontecchio, meta finale della prima giornata. La sua fontana trecentesca sullo sfondo del verde intenso dei boschi che lo circondano e il bel centro medievale, valgono la visita.
Dal borgo giungono buone notizie. La sindaca ci informa che Fontecchio è tornato a crescere. Quel che è ancora più importante, sono nati nuovi bambini. Il turismo lento non è estraneo a questa ripresa. La gentilissima signora che ci ospita ci racconta che le presenze si intensificano anno dopo anno. E si accompagnano ai ritorni. Lo chiamano «turismo natale», animato dagli eredi degli emigrati anche di quattro generazioni fa. Tornano persino dall'Australia o dal Brasile per conoscere, visitare e magari percorrere un tratto delle loro origini.
Dopo Fontecchio, il Sirente diviene il dominatore della scena. Lo si osserva sulla destra ed è possibile individuare con precisione i suoi canaloni principali ancora innevati: la Nevaia, la Lupara, il Maiori. La natura si fa più forte e invasiva. Il territorio si movimenta. Si raggiunge, un po' oltre metà tappa, la torre medievale del castello di Beffe, perfettamente ripresa e punto d'osservazione a trecentosessanta gradi. La sosta è altamente consigliata. Si segue, quindi, il profilo del massiccio sirentino fino a Castelvecchio Subequeo, anteposto della valle e paese di discreta bellezza. Un monastero con annessa chiesa ne sottolinea, ma non ne esaurisce, i pregi estetici. Vi è un bar, aperto anche alle sei del mattino, che si chiama «Comodo». È un indizio sui modi di vita dei locali sottolineato, ancor più, dal nome del primo paese che si incontra quando ci si incammina per l'ultima tappa. Castel di Ieri, dove il mondo appare come sospeso nel passato.
La Valle del Sirente ci accompagna con le sue ultime propaggini declinanti. Fino a quando una salita non impervia ci conduce al cospetto della Maiella. Il momento del disvelamento è emozionante. Discesa ripida su Raiano e poi dritti verso Corfinio, legata indissolubilmente all'Italia per la moneta dell'omonima Lega che proprio qui fu coniata. Le vestigia assumono così un sapore patriottico e il collegamento con la storia trova un ulteriore lacciuolo, ai più sconosciuti. Dopo Corfinio si ritrova l'Aterno, nel suo tratto più tumultuoso e naturale. Tra papaveri già maturi e ginestre che accennano alla loro stagione si arriva, infine, alla badia che fu dei seguaci di Celestino, dove si conclude la prima parte del cammino. La visita varrebbe una trattazione autonoma. Basterà dire, a proposito, che da un suo cortile, volgendo lo sguardo in su, si scorge nitida l'altra badia con la grotta dell'eremitaggio, magicamente connessa alla montagna. È lì che Celestino ricevette la notizia che lo avrebbe violentemente trascinato nel mondo.
Il cammino rinnova così, per l'ultima volta, il suo contraddittorio fascino. Tra passato e presente, dove l'etica della convinzione e quella della responsabilità si sono da sempre inseguite alla ricerca di un difficile compromesso.
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