Sulle piattaforme del petrolio le isole del futuro

Il design, dicono i progettisti che a migliaia iniziano ad affollare la città in questi giorni, dovrebbe aiutare a vivere meglio abbinando efficacia ed estetica contemporanea. Ma può servire anche a volare altissimo sulla scia della fantasia più sfrenata, immaginando luoghi fantastici come fece Italo Calvino nelle sue «Città». Sono i voli pindarici del Fuori Salone, una babele di eventi che contagia come un giocoso virus showroom e openspace di tutta Milano, senza risparmiare, ovviamente, i luoghi istituzionali che, mai come in questa settimana, risultano incarnati dalla Triennale. Ecco allora, al primo piano del museo di viale Alemagna dove fervono i preparativi per le inaugurazioni odierne, un grande schermo su cui scorrono le immagini di quella che potrebbe apparire una delle fantasie invisibili di Calvino, «immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono», tra bergamotti, uova di storione, astrolabi e ametiste. Il designer Ronen Joseph le ha battezzate «Temporary Island», ovvero isole (con)temporanee che potrebbero apparire come funghi marini in un futuro non lontano, come soluzione alle esigenze abitative del pianeta o semplicemente come meta vacanziera di nuovi ricchi un po’ eccentrici alla ricerca di splendido e fantasmagorico isolamento. Il committente di questo sogno in stile Blade Runner è, curioso a dirsi, l’Ente nazionale idrocarburi, da qualche tempo impegnato a sostenere i nuovi talenti della creatività ma nondimeno unendo il dilettevole all’utile. Che, nella fattispecie, sta nella riconversione delle piattaforme petrolifere costruite nei nostri mari un po’ dappertutto. Sono strutture della grandezza all’incirca di un palazzo di tre piani anche se le fondamenta sottomarine possono scendere di centinaia di metri. Ebbene queste isole simili a giganteschi autosilos, hanno un tempo di scadenza proprio come i replicanti del film di Ridley Scott. Durano cioè circa 30 anni, il tempo di esaurimento della vena petrolifera, poi vanno smantellate. A meno che. A meno che non si trasformino in hotel a cinque stelle piantati in mezzo al mare calmo o tempestoso, dotati di ogni comfort con una lounge hall sottomarina dove godersi lo spettacolo di un naturale e incommensurabile acquario. Oppure con una terrazza dove godersi il tramonto nel silenzio più assoluto, guardando «dal mare» anzichè il mare. «La temporary island -spiega Ronen Joseph titolare dell’omonimo studio milanese- può essere qualsiasi cosa: un gigantesco music hall per concerti in mezzo al mediterraneo, un villaggio turistico, un centro congressi, ma anche soltanto una struttura residenziale per amatori del genere». Lo studio ha colto al balzo la commissione di Eni per realizzare un format applicabile a tutte le piattaforme petrolifere dismesse. I nostri progetti hanno infatti sfruttato la stessa morfologia “a strati“ delle piattaforme inventando, di volta in volta, soluzioni abitative. Che, oltre alle aree superiori, avrebbero a disposizione anche piani sottomarini. Ovviamente qualsiasi struttura verrebbe dotata di tutti i comfort soprattutto logistici, eliporto compreso». Il condizionale è quantomai d’obbligo, dal momento che i progetti, pur essendo «chiavi in mano» con tanto di rendering e simulazioni, sono per il momento -sottolineano all’Eni- una pura speculazione estetica a disposizione di chi fosse interessato a investire nell’idea.

Magari una grande catena alberghiera, che però dovrebbe cimentarsi con le pastoie burocratiche pubbliche. Già perchè le isole temporanee, terminata la concessione petrolifere, tornano a essere «territorio dello Stato». MDM

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