nostro inviato a Parma
Sulle tracce di Tody per trovare Tommy. Le indagini sul rapimento del piccolo Tommaso Onofri ripartono dalle tracce lasciate dal suo cane trovato mercoledì a ventiquattro chilometri da Parma. Oggi le unità cinofile delle forze dellordine seguiranno il tracciato lasciato dal bastardino degli Onofri, perché forse quelle impronte porteranno a capire dove sia Tommy. Questo mentre i carabinieri tolgono i sigilli apposti il 13 marzo alla villetta di Casalbaroncolo, e lui, il papà di questo bimbo evaporato nel nulla da ventidue giorni, si dichiara pentito. I sospetti pesano come macigni, l'accusa di pedopornografia con la quale è stato indagato dalla magistratura, lo ha trasformato da vittima, da «persona offesa» a «sospettato». Di che cosa non si sa.
Paolo Onofri, l'omone dalla barba incolta e lo sguardo duro, i modi un po burberi di chi è abituato a comandare, ha cambiato volto. Adesso dopo ventuno giorni dagonia per quel suo bambino rubatogli dalle mani senza una parola e senza un ragionevole perché, recita persino il mea culpa. Sempre fiero nonostante tutto: «Non ho niente da nascondere: alla fine i file proibiti, quelli per cui sono indagato, non sono 400, ma una trentina. Comunque uno sbaglio di cui mi sono pentito». Poi un accenno, quasi una confessione, sulla sua vita privata, sui night e i locali di lap-dance in cui amava trasgredire con gli amici: «Là non si fa sesso, i buttafuori ti controllano. Ma nessuna bambina: giuro, non ho mai toccato una donna con meno di 18 anni. Quello delle lolite era un mondo rinchiuso nella mia fantasia. E non credo sia un peccato». Di certo non un reato.
L'ex direttore del più grosso ufficio postale di Parma esce di pomeriggio. Per ribadire quanto detto all'indomani del sequestro di suo figlio. Sembrava una rapina «degenerata». Ma non era così. «I rapitori di mio figlio Tommaso? Ci conoscono bene. L'ho già spiegato agli investigatori e ora lo scriverò pure nel mio memoriale difensivo», ha attaccato Onofri, rivelando al tempo stesso le sue paure. In un'intervista oggi in edicola su Panorama, l'ombroso esperto finanziario delle Poste, ribadisce i proprio dubbi, le convinzioni maturate nel dopo. Con tanto di nomi e cognomi dei potenziali sequestratori, gli stessi che ha già indicato agli investigatori nei primissimi faccia a faccia. Ovvero i nomi di chi partecipò nei mesi scorsi alla ristrutturazione del casolare: «I due rapitori si muovevano come se fossero a casa loro», ripete Onofri.
Il che non basta, tuttavia, a restringere le ipotesi. Alla luce, anche, di un'altra, sibillina frase, del papà di Tommy: «Quando si ha bisogno di soldi si può fare di tutto...». Ecco perché gli investigatori, in quest'inchiesta sempre aperta a 360 gradi, non trascurano un paio di figure considerate finora marginali. Perlomeno dai media. Quelle delle baby sitter di Tommaso. Due donne. Anche loro sono passate sotto la lente d'ingrandimento delle indagini. Una è la ragazza moldava che di pomeriggio accudiva il piccino, l'altra è una cinquantenne ex bidella. Abita proprio sopra l'ufficio postale di San Prospero, quello dove la mattina lavorava la moglie di Onofri, Paola Pellinghelli. Dal lunedì al mercoledì, da oltre un mese, teneva lei Tommy. O lei o sua figlia.
È stata interrogata dalla polizia, le hanno chiesto se avesse notato qualcosa di strano, se nella famiglia del direttore delle Poste vi fosse qualcosa che non quadrava. M.B., non è stata di grande aiuto. Il bambino le veniva portato in casa all'inizio dell'orario di lavoro di Paola Pellinghelli, nelle villetta di Casalbaroncolo non è mai entrata. Suo marito è un insospettabile, nessuno ha mai avvertito la necessità di interrogarlo: autista in pensione da tempo lavora come consulente per la Curia. Dell'altra «badante», la moldava, si sa poco. Se non che fosse una ragazza sensibile, fin troppo. Quando Tommy piangeva anche lei versava lacrime, spiegano i pochissimi che l'hanno conosciuta.
Nella Procura distrettuale antimafia di Bologna, gli investigatori, prima di cena, cercano ancora di riallacciare le fila dell'inchiesta.
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